OSPITALETTO (BS): ennesimo successo del Bibbiù di Achille Platto

Riproposto, dopo centinaia di repliche, con meritato e scontato successo, il Bibbiù per l’interpretazione di...

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Riproposto, dopo centinaia di repliche, con meritato e scontato successo, il Bibbiù per l’interpretazione di Alessandra Domenighini e Sergio Mascherpa

OSPITALETTO: ennesimo successo del Bibbiù di Achille Platto

Il mistero del Sacro irrompe nella solida concretezza quotidiana dei discorsi dei contadini in questo testo degli anni ’70 (dello ormai scorso secolo!) che il clarense Achille Platto concepì e scrisse per rivisitare la Bibbia con sensibilità e occhi totalmente bresciani.

Si tratta di un testo in prosa ritmica, con assonanze e rime sparse, in cui dei popolani fanno da voce narrante alla lettura delle sacre scritture, da cui traspare il travaglio della loro vita quotidiana, impastata di stenti e di fatiche, di speranze e di delusioni che le ristrettezze di una vita grama comportano. Ma il tono ed il linguaggio non sono rustici, come ci si potrebbe aspettare, anzi risulta poetico. Non trovi nessuna villania o irriverenza ma la poesia della semplicità,  che sa farsi solennità. E che arriva dritta al cuore e commuove.

Tecnicamente la rappresentazione si dipana in due voci, che si alternano nei ruoli, ora narranti ora da diretti protagonisti. Sono Alessandra Domenighini e Sergio Mascherpa che con assoluta fluidità narrativa trapassano da un ruolo all’altro ora impersonando e dando voce a Domineddio, ora all’ingenuotto Adamo ora alla frivola Eva; ora animando con il racconto la figura del generoso Abele ora impersonando il rancoroso Caino, che Mascherpa riesce a rendere in tutto il suo ferino furore omicida, tipico di una mente offuscata dalla collera irrazionale. Non è da meno Eva-Domenighini nel dare materno calore al compiacimento per il suo Abele, pio ed altruista.

Nell’immaginario di due umili popolani Domineddio è visto come il padrone terriero, il vecchio Padrù di altri tempi, al quale i contadini di una volta per generazioni e generazioni si son dovuti sottomettere ed inchinarsi, per scongiurare la sua collera, sempre pronta ad esplodere per un nonnulla. Emblematica,  al riguardo, la vicenda narrata da Sergio Olmi, sempre in quegli anni ’70, nel suo film “L’albero degli zoccoli”, dove una famiglia di braccianti, bambini e neonati compresi, viene buttata letteralmente sul lastrico sol perché un padre, senza permesso del padrone, osa tagliare  il ramo di un albero per fare un paio di zoccoli al suo bambino. Tempi duri e senza misericordia che griderebbero vendetta. Eppure dal testo di Platto, questo ambiente emerge in sottofondo, ma depurato da risentimenti e vissuto con pacata accettazione, come di una realtà naturale e serena.

Ed in questo clima di serena realtà quotidiana si svolge la scena dell’Annunciazione, che Domenighini e Mascherpa risolvono con spassosa levitas, tutta paesana.

Ma il tono ed il pathos  si elevano quando con rapidi tocchi viene ricreata la magia della Sacra Notte, complice la melodia di una vecchia canzone natalizia. Maria-Domenighini  per atavica concretezza sa che il parto è cosa “per sole donne” e – pur essendo alla sua prima esperienza – manda il marito fuori, che lei è capace a sbrigarsela da sola. Giuseppe–Mascherpa si ritrova, così,  fuori all’aperto e con accorata meraviglia narra il suo stupore nel vedere i cieli inondanti di angeli e le campagne vicine con frotte di pastori che accorrono a omaggiare il divino Bambinello.

Il tono diventa veramente drammatico quando il Cireneo- Mascherpa, ormai vecchio, racconta di essersi ritrovato tra una folla di popolo che accompagnava e scherniva un Condannato a morte con il gravoso carico della sua stessa croce sulle sue spalle, devastate dalle crudeli frustate. Egli, mosso a compassione, si offre di aiutarlo ed assiste impotente allo strazio di una Madre che vede martoriare il proprio figlio. La sua mente ne resta letteralmente sconvolta ed ancora, da vecchio, ne porta le ferite nell’animo, piangendo e disperandosi al solo ricordo. Facendo inorridire anche il pubblico che esplode in un fragoroso applauso di ringraziamento e di liberazione.

Più che convincente la performance dei due protagonisti che mietono lunghi, prolungati e ben meritati applausi finali.

Sapiente e misurata la regia di Giacomo Andrico, produzione dello spettacolo a cura del Teatro Laboratorio di Brescia. Lo spettacolo si inserisce nell’ambito della manifestazione “Impronte Teatrali – pressione bassa”, che si prefigge di agevolare – anche in provincia – la diffusione di idee attraverso la nobile arte del teatro. 

La recensione si riferisce allo spettacolo di venerdì 18 ottobre.

Carmelo TOSCANO

 

 

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