L’ironia del surreale al Vittorio Emanuele con Gabriele Lavia

Si è esibita sabato e domenica, al Vittorio Emanuele, la Compagnia più nota e importante...

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Si è esibita sabato e domenica, al Vittorio Emanuele, la Compagnia più nota e importante del Teatro Italiano. Gli spettatori presenti hanno vissuto le emozioni dell’opera pirandelliana “I Giganti della Montagna” con Gabriele Lavia nel personaggio di Cotrone e in qualità di regista. In replica martedì 4 e mercoledì 5 febbraio alle ore 21,00.

“Niente è vero, e vero, può essere tutto!” Signori miei, la vita è qua, in mezzo a noi, che crediamo di più alla realtà dei fantasmi più ancora che quella dei corpi”.

Un folto pubblico è stato letteralmente ”invaso” da 23 attori ed un Gabriele Lavia straordinario, che hanno coinvolto tutti, interagendo in mezzo alla platea.

Grande pathos ed emozioni, che solo un’opera come questa, testamento culturale di grande spessore, lasciata in eredità dallo scrittore siciliano, avrebbe potuto far emergere.

Il Teatro, epicentro degli stati d’animo di un artista, ma anche di uno spettatore, si è trasformato, in questa occasione, al Vittorio Emanuele, in un “tempo e luogo indeterminati, tra favola e realtà”.

Edizione caratterizzata da un rispetto accurato nel mantenere fede, volutamente, alla versione originale dell’opera letteraria, evitando, come spesso è accaduto in rappresentazioni passate, di formulare ipotesi su un finale immaginario di cui l’opera come sappiamo è stata privata.

Gli attori della Compagnia della Contessa, in un momento di forte difficoltà economica approdano nella Villa La Scalogna, ove “si ha tutto proprio quando non si ha più niente”, e laddove è assolutamente vietato ragionare. “Non mi vorrete mica diventare ragionevoli? Vigliacco chi ragiona. Hai bisogno che ti credano gli altri per credere a te stesso?” Ribadisce il Mago Cotrone, interpretato dal regista Gabriele Lavia.

Vietato porsi alcun interrogativo su cosa sia vero e cosa no, in questo luogo surreale, basta immaginare una cosa e si manifesta. “Ho sempre inventato la verità e la gente, ha sempre creduto dicessi le bugie, ma non si dice mai tanto la verità come quando si mente,” proferisce Cotrone, che invitando Ilse e la sua compagnia a rimanere con gli Scalognati, per fare vivere davvero l’opera, recita una delle più note citazioni pirandelliane: “imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”;

Dopo il rifiuto di restare di Ilse, Cotrone insiste: “come lei non ha amato il poeta, gli uomini non apprezzeranno l’opera”, e le propone di portare la sua favola ai Giganti della Montagna, seppur l’aiuto che lui può fornirle resterà soltanto all’interno della Villa. Poiché la cultura teatrale, al di fuori di questo “magico regno” viene lasciata ai margini della nostra società, non in grado di comprenderne il significato.

Il finale, introdotto da un rumore di sottofondo, simile al fischio di un treno, che richiama alla nostra memoria la novella “Il treno ha fischiato”, prosegue con dei forti galoppi che simboleggiano l’arrivo dei Giganti della Montagna; attori e pubblico seguono con lo sguardo il tragitto che percorre il suono, finché tutti si voltano verso il teatro disastrato ed urlano «Io ho paura. Ho paura!». Le ultime cinque parole che Pirandello scrisse.

Innovativo e graditissimo è stato il mescolarsi di danze in allegria e dalla forte energia dei personaggi fantastici, che spesso ballavano in mezzo al pubblico e sul palcoscenico grazie alle coreografie di Adriana Borriello. Le maschere sembravano davvero essersi materializzate da tutte le opere pirandelliane grazie all’operato di Elena Bianchini. La scenografia di Alessandro Camera, ha proposto un antico teatro disastrato, spezzato nei palchi che circondava il palcoscenico, quest’ultimo più volte toccato in maniera assidua da Cotrone, come a volerne dare un significato quasi aulico e di profonda devozione. Le musiche di Antonio Di Pofi hanno dato molto pathos ai momenti anche di suspense. Michelangelo Vitullo con effetti di luci, contribuiva a dare un senso di allegria, anche quando venivano puntate sugli spettatori. I fantocci delle favole, vivaci, grintosi, caratterizzati dall’ironia e dall’entusiasmo di chi il teatro lo fa e lo vive, sono stati ben rappresentati e alcuni anche, in maniera quasi circense, grazie ai costumi di Andrea Viotti. Anche il linguaggio antico siciliano adoperato è stato molto apprezzato.

“Se fosse laggiù qualcheduno in questo momento che si illude di vivere la nostra stessa vita, non è così! Nessuno, nessuno è nel corpo che quell’altro ci vede, ma è nell’anima che parla, chissà da dove, nessuno può saperlo, noi siamo apparenza tra apparenza”.  

Anche con queste parole, Gabriele Lavia nel Mago Cotrone, è riuscito a mettere in luce la volontà di Pirandello, di pensare senza remore alla verità di ogni straordinario fantasma, e di amarla, al di là delle umiliazioni della società apparentemente reale. Perché può essere che il reale non lo sia poi così tanto, e che la verità sia bugia e viceversa, vivendo costantemente il sentimento del contrario che tanto ha caratterizzato le opere di Pirandello e che tanto condiziona spesso anche le nostre vite.

Mariella Musso

 

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