L’emissione di radon dalle faglie dell’Etna, un nuovo pericolo da monitorare

L’emissione di radon rappresenta un triplice pericolo per le popolazioni. L’INGV da molti anni analizza...

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L’emissione di radon rappresenta un triplice pericolo per le popolazioni. L’INGV da molti anni analizza su tutto il territorio nazionale il radon.

Le faglie dell’Etna rappresentano un triplice pericolo per le popolazioni: generano terremoti, fratturano il suolo ed emanano radon, un gas cancerogeno che può accumularsi nelle case rendendole insalubri. Lo studio, a firma INGV, è stato pubblicato sulla rivista internazionale “Frontiers in Public Health”

L’INGV, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia da molti anni analizza su tutto il territorio nazionale il radon, un gas cancerogeno che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) colloca nel “gruppo 1”, ovvero tra i più pericolosi per la salute umana.

Un territorio particolare è quello dell’Etna, sui cui fianchi affiorano numerose faglie che presentano una peculiarità: fratturano intensamente le rocce esse circostanti aumentando significativamente la loro permeabilità. Ciò consente ai fluidi e ai gas presenti nel sottosuolo di muoversi più liberamente in quelle zone fratturate, raggiungendo la superficie con più facilità. Tra questi gas, emerge in superficie anche il radon.

L’INGV monitora il radon sull’Etna h24 attraverso una rete di sensori dislocati nel terreno in aree chiave per interpretare l’attività vulcanica e sismica, raffrontando questo dato con i numerosi altri segnali provenienti dalle fitte reti di monitoraggio dell’Osservatorio Etneo (INGV-OE).

Dal 2015, però, le analisi del radon sono state eseguite anche in aria e, in particolare, “indoor”, cioè all’interno delle abitazioni per verificare se il gas, non percepibile dai nostri sensi giacché inodore, incolore e insapore, assume concentrazioni pericolose per la salute umana.

I primi risultati delle misure radon indoor sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale Frontiers in Public Health – Environmental Health, in un articolo scientifico intitolato “Preliminary Indoor Radon Measurements Near Faults Crossing Urban Areas of Mt. Etna Volcano (Italy)”, firmato da Marco Neri, Salvatore Giammanco e Anna Leonardi.

Per tre anni sono state registrate misure continue da dodici sensori collocati in sette edifici ubicati sulle pendici meridionali e orientali del vulcano, nei territori di Giarre, Zafferana Etnea, Aci Catena, Aci Castello e Paternò.

Il monitoraggio continuo su lungo periodo del radon indoor ha consentito ai ricercatori di “depurare” i segnali di concentrazione del radon dalle variazioni indotte dalle condizioni ambientali, a loro volta legate all’alternarsi delle stagioni.

I sensori hanno rilevato concentrazioni medie annue spesso superiori a 100 Bq/m3 (Bequerel per metro cubo), che corrisponde al valore di primo livello di attenzione per esposizione media annuale raccomandato dall’OMS. In alcuni casi, tale concentrazione media è risultata maggiore di 300 Bq/m3, con punte superiori a 1000 Bq/m3 registrate per molti mesi consecutivamente. Questi dati completano i rilevamenti delle concentrazioni di radon misurate nei terreni dell’Etna negli anni passati, che hanno mostrato valori variabili da poche migliaia a oltre 70.000 Bq/m3.

Lo studio documenta, inoltre, che le abitazioni con maggiore presenza di radon al loro interno sono ubicate in prossimità di faglie attive. In altre parole, più le case monitorate erano ubicate in prossimità delle faglie, più è risultata alta la concentrazione di radon al loro interno.

Questo dato conferma, una volta di più, che la pericolosità delle faglie etnee è data non solo dalla loro sismogeneticità ma anche dalla loro permeabilità ai gas, consentendo la risalita del radon.

In definitiva, l’articolo pubblicato su Frontiers in Public Health documenta un primo campionamento continuo e pluriennale del radon indoor, anche se riguarda un numero limitato di abitazioni. Tuttavia, i dati raccolti evidenziano un potenziale problema per la salute della popolazione etnea, che ammonta quasi a un milione di persone, e pertanto appare opportuno e utile approfondire ed estendere questo monitoraggio a un campione di edifici maggiormente corposo.

Nell’insieme, quindi, un quadro generale che merita l’attenzione dei ricercatori che si occupano di valutare la salubrità degli ambienti abitati, anche considerando che il recente sisma del 26 dicembre 2018, colpendo pesantemente il versante sud-orientale dell’Etna, ha evidenziato ancora una volta la vulnerabilità del territorio etneo e la sua esposizione a fenomeni naturali di vario tipo.

Il radon è presente in tutta la crosta terrestre. Si trova nel terreno e nelle rocce ovunque, in quantità variabile. Il suolo è la principale sorgente del radon che arriva in casa. I materiali edili che derivano da rocce vulcaniche (come il tufo), estratti da cave o derivanti da lavorazioni dei terreni, sono ulteriori sorgenti di radon.

Essendo un gas, il radon può spostarsi e sfuggire dalle porosità del terreno disperdendosi nell’aria o nell’acqua. Grazie alla forte dispersione di questo gas in atmosfera, all’aperto la concentrazione di radon non raggiunge mai livelli elevati ma, nei luoghi chiusi (case, uffici, scuole ecc) può arrivare a valori che comportano un rischio rilevante per la salute dell’uomo.

Il radon è un gas radioattivo naturale, incolore e inodore. È generato dal decadimento del radio, cioè dal processo per cui una sostanza radioattiva si trasforma spontaneamente in un’altra sostanza, emettendo radiazioni. Il radio è, a sua volta, prodotto dalla trasformazione dell’uranio, presente nelle rocce, nel suolo nelle acque e nei materiali da costruzione. Una volta formato anch’esso decade dando origine a tutta una serie di altri elementi chiamati prodotti di decadimento. Il diretto discendente del radio (Ra-226) è il radon (Rn-222) che a sua volta decade in altri elementi. La progenie del radon (Ra-222) è comunemente indicata come “figli del radon”.

Prima di decadere il radon rimane in vita per un tempo sufficientemente lungo (ha un tempo di dimezzamento di 3,8 giorni) che gli consente di essere trasportato, in quanto gas, dai flussi di aria presenti nei suoli, anche a distanze notevoli, fino anche ad alcune centinaia di metri. Anche i figli sono radioattivi ossia decadono a loro volta emettendo radiazioni. A seguito dei risultati dei numerosi studi epidemiologici effettuati negli ultimi 20 anni e della conseguente rivalutazione del rischio di tumore polmonare associato all’esposizione al radon nelle abitazioni, nel 2009 l’Oms ha pubblicato il rapporto WHO Handbook on Indoor Radon: A Public Health Perspective (pdf 600 kb, leggi anche l’approfondimento di EpiCentro sul rapporto Oms), nel quale si raccomanda che i Paesi adottino possibilmente un livello di riferimento di 100 Bq/metro cubo o comunque non superiore a 300 Bq/metro cubo.

In Italia, una normativa sul radon esiste al momento solo per i luoghi di lavoro e per le scuole. La nuova direttiva europea 2013/59/Euratom in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti (approvata il 5 dicembre 2013) contiene anche disposizioni riguardanti il radon nelle abitazioni e una più stringente protezione dal radon nei luoghi di lavoro. I livelli di riferimento massimi previsti dalla Direttiva per la concentrazione di radon sono più bassi rispetto a quelli raccomandati a livello europeo fino a pochi anni fa, sia per le abitazioni che per i luoghi di lavoro.

Una normativa nazionale per la protezione dall’esposizione al radon nelle abitazioni non è stata ancora emanata, ma la protezione dal radon indoor nelle abitazioni è prevista nella nuova direttiva europea 2013/59/Euratom in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti, approvata il 5 dicembre 2013, che dovrà quindi essere obbligatoriamente recepita nella normativa italiana.

Tale direttiva prevede che gli Stati Membri dell’Unione Europea adottino un livello di riferimento di concentrazione di radon non superiore a 300 Bq/m3. Questo livello massimo è inferiore a quello di 400 Bq/m3 previsto dalla Raccomandazione europea 90/143/Euratom del 1990 per le abitazioni esistenti. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato (nel 2009) un livello di riferimento non superiore a 300 Bq/m3. Per questi motivi la Raccomandazione 90/143/Euratom è da considerarsi, per tali aspetti, già superata.

Inoltre, nella nuova direttiva europea sono previste azioni di prevenzione dell’ingresso del radon nelle abitazioni di nuova costruzione, azioni che non sono (ancora) disciplinate nella normativa italiana. Tuttavia, per tali azioni, nel 2008 è stata prodotta la Raccomandazione sull’introduzione di sistemi di prevenzione dell’ingresso del radon in tutti gli edifici di nuova costruzione (in allegato), nell’ambito del progetto PNR-CCM.  In tale documento si raccomanda di includere negli strumenti urbanistici (p.e. piani regolatori, regolamenti edilizi) di tutti gli enti preposti al controllo del territorio, dei semplici ed economici accorgimenti costruttivi al fine di ridurre l’ingresso del radon in tutti i nuovi edifici e di facilitare l’installazione di sistemi per la rimozione del radon dall’edificio, una volta costruito, qualora fosse. necessario. La raccomandazione del PNR-CCM (Piano Nazionale Radon-Centro Controllo Malattie) è riferita anche agli edifici esistenti soggetti a lavori di ristrutturazione che coinvolgano in modo rilevante le parti dell’edificio a contatto con il terreno. La raccomandazione del PNR-CCM è stata già adottata da alcune Regioni e Comuni, ed una sua applicazione a tutto il territorio nazionale è prevedibile a seguito dell’imminente nuova Direttiva europea in tema di radioprotezione.

Adduso Sebastiano

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