“Le voci della differenza”, contro la violenza di genere nelle famiglie mafiose 

Si è svolto ieri, a Catania, un evento che fa parte di un ciclo di...

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Si è svolto ieri, a Catania, un evento che fa parte di un ciclo di incontri promossi in tutta Italia, dalla Senatrice M5S Cinzia Leone di Monreale (PA), Vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Sono intervenuti la Senatrice Tiziana Drago, l’eurodeputato Dino Giarrusso e la deputata regionale Roberta Schillaci.

“Le voci della differenza,” contro la violenza di genere nelle famiglie mafiose.

L’evento è stato organizzato a Catania dalla Senatrice M5S Tiziana Drago, di Trecastagni (CT), Segretario della Commissione permanente Finanza e Tesoro, e della Commissione bicamerale per le questioni regionali.

Il tema era incentrato su donne vittime di violenza all’interno di famiglie mafiose, ma non vittime di mafia. Quindi sulle donne che hanno trovato il coraggio di testimoniare e di raccontare di sé. Dibattito tematico volto a porre come fine unico la conoscenza e la sensibilizzazione di un fenomeno tanto silenzioso quanto grave.

L’incontro ha avuto luogo a Viagrande, Comune in provincia di Catania, in cui risiede l’Eurodeputato Dino Giarrusso, presso l’Hotel Villa Itria, moderato dal giornalista Gianfranco Marcelli, vice direttore di “Avvenire” e capo della redazione romana fino al 2015, attualmente collaboratore presso il giornale quotidiano “Conferenza Epistolare Italiana”.

Dopo i saluti istituzionali e l’accoglienza del Sindaco Franco Leonardi e dell’Assessore alle Pari opportunità Rosanna Cristaldi, grati ai relatori per aver scelto il paese etneo che amministrano, come sede per trattare un argomento così importante, è iniziato il giro di interventi.

Nel discorso introduttivo, la Senatrice Drago del M5S essendo un’insegnante, è stata spinta dal suo stesso ruolo ad occuparsi di questa tematica, e in quanto tale, sostiene sia un dovere civile, morale ed etico per un docente, occuparsi di problematiche del genere e di grande rilevanza. 

Per la Senatrice, la figura dell’insegnante, infatti, va equiparata ad un pubblico ufficiale e dal momento che attraverso il suo lavoro entra all’interno delle famiglie e dei loro contesti, se ne è coinvolti, per questo motivo, al fine di mantenere il docente in una posizione di oggettività, è bene non sia dello stesso Comune in cui opera.

La Senatrice del M5S Cinzia Leone, a proposito di cognomi o famiglie più o meno “ingombranti”, ha ricordato la figura di Maria Rita Lo Giudice, venticinquenne, reggina, la quale, malgrado i tanti sforzi compiuti per cercare di costruirsi una propria strada quale anche prendersi la laurea a pieni voti in Economia, probabilmente non è riuscita ad alleggerire un “fardello” e malessere della situazione familiare in cui viveva, tanto che parrebbe si sia suicidata – ci sarebbero infatti ancora delle indagini in corso – poiché come sostengono alcuni, sembra si vergognasse del cognome che portava (mentre altri dicono che ne andasse fiera) giacché il suo cognome era quel di “Lo Giudice” che a Reggio Calabria è spesso associato alla ‘ndrangheta.

Ha spiegato che la commissione d’inchiesta, di cui lei è vice presidente, si muove sulle 4P: Prevenzione, Protezione, Punizione e Politiche Integrate. Lei si occupa della prima, divisa in due aspetti: comunicazione e formazione. A tal proposito, ha presentato e depositato un disegno di legge sull’educazione emozionale che in maniera trasversale e scientifica, dà luogo di poter parlare di “gestione delle emozioni”, a partire dai 3 anni e fino ai 18, in un percorso evolutivo nelle scuole.

La Leone, ha poi concluso il suo discorso invitando le donne a fare squadra alla solidarietà femminile, da cui certamente si può trarre grande giovamento.

Interessante il punto di vista e l’intervento di Salvina Nastasi, Funzionario assistente sociale e collaboratrice della Questura di Catania, che ha testimoniato quanto sia alto il numero delle donne vittime di violenza di genere che spesso si rivolgono all’ufficio, e quanto sia importante per loro, il contatto con le forze dell’ordine, che proprio perché primo deve essere ben gestito.

Ha parlato anche del senso di colpa che erroneamente queste donne provano. Chi non ne conosce i meccanismi manipolativi di relazioni affettive pericolose come queste, non sa che molti uomini mettono in campo delle strategie ad hoc, proprio per condurle in questo stato di malessere.

La Funzionaria della Questura, ha ben spiegato, come si può accompagnare la vittima nel percorso di riuscita, ovvero, monitorando la situazione e mantenendo i contatti con essa, come stanno facendo a Catania, dove la rete antiviolenza sta funzionando molto bene, avvalendosi di un pool che lavora in maniera egregia. 

Ha infine volto il suo pensiero anche e soprattutto alle donne che hanno perso la vita per mani di chi diceva di amarle.

In ambito penale e criminale, efficace anche l’intervento della Professoressa di Diritto processuale penale e Direttore nazionale Postgraduate Fondazione Ymca Italia, Daniela Mainenti, che dopo aver fatto notare, come ad oggi, il Femminicidio non esiste tra i termini del nostro sistema giuridico, anche se è equiparato a reati gravi come lo stalking, dovrebbe invece essere tipizzato dal legislatore e assumere aspetti penalistici. Inoltre, ha parlato non soltanto della presenza delle donne nel circuito mafioso in quanto vittime della, o contro la mafia, ma pure di quelle che sono per la mafia, e spesso “portatrici di comunicazione e di continuità”, citando la Ninetta Bagharella, vedova del boss mafioso Salvatore Riina e la Mariangela Di Trapani.

La prof.ssa, con l’occasione dell’incontro e della presenza di rappresentanti delle Istituzioni e della Politica, ha auspicato una maggiore attenzione nei passaggi fondamentali normativi, secondo i quali il legislatore non dovrebbe lasciare da solo il Magistrato nella decisione e valutazione caso per caso.

La Mainenti, ha terminato definendo il senso del suo intervento un invito a tutti gli operatori, a migliorarsi con sinergia, anche culturalmente, con lo scopo di far venir meno quel consenso sociale al potere territoriale e arcaico su cui si fonda l’organizzazione mafiosa, in maniera da far ritornare e far provare al contrario, il sentimento della vergogna a chi vi appartiene o simpatizza, e oggi in “disuso”.

Parla di una emergenza sociale ancora all’anno zero, Roberta Schillaci, Deputata M5S Ars, Componente della commissione regionale antimafia, anche se, stanno già facendo delle proposte come “il reddito di libertà”,che consentirebbe alle donne di allontanarsi dai contesti violenti e degradati, come anche dal subire violenze psicologiche, così da potere quanto meno raggiungere una sorta di indipendenza anche economica.

La Deputata, ha pure citato Piera Aiello, che aveva deciso di collaborare con la Giustizia, nonché Valeria Grassi che a Madonia si era determinata ad aprire una palestra e ove, con coraggio, ha denunciato i pizzini il giorno dopo, tanto che dapprima ha avuto la scorta, che però ora le è stata tolta.

Tuttavia, e purtroppo, ha aggiunto, “il reddito di libertà non è ancora stato finanziato, in quanto la Corte dei Conti ha congelato una serie di capitoli alla Regione. 

L’On. Schillaci, ha concluso ricordando volentieri Lea Garofalo, testimone di giustizia italiana, vittima della ‘ndrangheta, e la figlia che proseguì la battaglia antimafia, affermando che le donne “invisibili” spesso stanno in silenzio pur sapendo tutto, venendo sovente considerate “custodi dell’onore”. Pertanto, potrebbe essere complesso aiutarle, ma lo si deve fare, anche attraverso “paracaduti” messi a disposizione da tutti gli attori istituzionali e non. 

A seguire, è intervenuto Dino Giarrusso, Deputato M5S al Parlamento Europeo, il quale ha invitato tutti a riflettere pure sui contesti criminali e culturali in cui le donne spesso, mal convinte o essendo concettualmente sopraffatte, tramandano una cultura mafiosa ai propri eredi.

 Un’inchiesta, ha specificato l’Eurodeputato, condotta dallo stesso nell’ambito dello spettacolo, ne è stato un chiaro esempio, poiché l’eco iniziale dell’indagine si è interrotto immediatamente nel momento in cui veniva coinvolta, davanti all’opinione pubblica, una persona molto potente e conosciuta in ambito televisivo.

Attraverso quella inchiesta si è evidenziato come in Italia la legge in merito è del tutto “infelice” ed impunita, rimarcando la “totale mancanza di sanzione sociale”, e le conseguenze da cui ne derivano anche poi culturalmente i cattivi esempi. 

Giarrusso, ha citato inoltre Giancarlo Siani, il primo giornalista ucciso dalla camorra sul quale aveva fatto un film. Ha rammentato, anche la figura della madre di Peppino Impastato, Felicia Bartolotta Impastato, la quale, ha dovuto convivere tra il conflitto affettivo con il marito appartenente alla famiglia mafiosa e un figlio invece, giornalista antimafia. 

L’eurodeputato ha dunque concluso il proprio intervento sottolineando che, essendo la violenza di genere un problema culturale, lo Stato dovrebbe avere una duplice funzione per risolverlo: da un lato occorrerebbe sanzionare e reprimere, e per un altro verso pensare anche ad un supporto culturale mediante un progetto educativo scolastico alla legalità.  

Ha terminato il giro di interventi Mons. Antonio Raspanti, Vescovo di Acireale, che si è appellato ad un accorato incoraggiamento per tutti: “Non è vero che non si può vincere!”

Anche il successivo confronto con il pubblico è stato molto interessante e di profondo livello.

Mariella Musso

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