Mafia, ancora una confisca di 50 milioni al ‘re delle cave’

La confisca ha interessato quote societarie, conti correnti, investimenti finanziari, beni mobili e immobili per...

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La confisca ha interessato quote societarie, conti correnti, investimenti finanziari, beni mobili e immobili per milioni di euro.

Sigilli al patrimonio del ‘re delle cave’. Dopo dieci anni di processo e oltre duecento udienze, il Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo Raffaele Malizia, ha emesso il decreto di confisca del patrimonio dell’imprenditore Giuseppe Bordonaro, 61 anni, detto “il re delle cave’, già condannato definitivamente per mafia e, nei confronti di tredici fra eredi e familiari a cui era stato intestato parte del patrimonio frutto delle attività illecite dell’imprenditore. Il valore è stimabile in non meno di cinquanta milioni di euro. I Giudici, che hanno accolto la richiesta del Pm Gery Ferrara, hanno ritenuto la pericolosità sociale e l’origine sospetta del suo patrimonio, per la sproporzione fra le entrate lecite e le dimensioni effettive. Confiscati polizze vita, conti correnti, ville, appartamenti, box auto, investimenti finanziari, due Ferrari e altre auto di lusso, quote societarie, investimenti finanziari, beni mobili e immobili.

Sottoposte a confisca così due società, la Concebi srl, che si occupa di conglomerati cementizi e la Icm Inerti srl, mentre sono state acquisite dallo Stato quote della Atlantide Costruzioni appartenenti al fratello del prevenuto, Pietro Bordonaro. E poi terreni, immobili, automezzi, conti, polizze, fondi appartenenti anche ad altri familiari di Giuseppe Bordonaro. Nella ‘cava Bordonaro’ si realizzava la ‘pietra di Billiemi’, marmo molto pregiato.

Bordonaro, in società con i fratelli Pietro e Benito – la confisca colpisce anche loro – operava nel settore cave di pietra con produzione e commercializzazione del calcestruzzo, dei conglomerati bituminosi, del cemento, del materiale per costruzioni e del marmo. Era stato condannato a 4 anni e 6 mesi per associazione mafiosa, è ritenuto uomo di fiducia di Angelo Siino, l’uomo della mafia nella gestione illecita degli appalti.

L’imprenditore ha subito diversi sequestri, uno nel 2011 per 11 milioni di euro, l’altro nel 2014 per altri 5 milioni. Per gli inquirenti della Dda Giuseppe Bordonaro, insieme ai fratelli Pietro e Benito e il padre Salvatore, morto nel 2005, gestiva cave di pietra, produceva e commercializzava calcestruzzo, conglomerati bituminosi, cemento, materiale per costruzioni e marmo. Dalla cava Bordonaro si estraeva un marmo pregiato, la pietra di Billiemi. E grazie all’appartenenza a Cosa nostra, Bordonaro ha consolidato la sua posizione nel settore degli appalti

Ad accusarlo i collaboratori di giustizia Baldassare Di Maggio, Calogero Ganci e Salvatore Cangemi. I pentiti hanno raccontato che l’imprenditore siciliano era tra i beneficiari del cosiddetto “metodo Siino”, sistema di spartizione mafiosa dei lavori pubblici.

Pietro Bordonaro l’11 febbraio 2020 era stato assolto in appello dall’accusa specifica di concorso in associazione mafiosa, dopo essere stato condannato a otto anni e sei mesi in primo grado, assieme ai costruttori edili Eugenio Avellino e Filippo Chiazzese, anche loro scagionati dalla terza sezione della Corte d’Appello di Palermo. Avellino, come Bordonaro, era accusato di concorso esterno (e aveva avuto sei anni e otto mesi), Chiazzese di fittizia intestazione di beni (cinque anni in tribunale). L’inchiesta originaria era uno dei filoni di mafia e appalti, sull’imprenditoria contigua a Cosa nostra.

Secondo gli investigatori, i boss palermitani avevano imposto ad alcuni accreditati studi professionali la consegna dell’elenco dei lavori più importanti in corso di progettazione, in modo da effettuare una cernita preliminare di quelli da accaparrarsi per conto di Cosa Nostra. Alcuni imprenditori si sarebbero spesi al tal punto in favore dei boss tanto da contestargli il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Accusa che avevano retto in primo grado, ma non nel giudizio di appello. Sono state accolte le tesi difensive degli avvocati appellanti, Carlo Catuogno, Fabrizio Cordovana, Sergio Monaco, Michele De Stefani, Loredana Lo Cascio e Gaja Bonafede.

Adduso Sebastiano

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