Mafia nei comuni, legge da cambiare. Ma cambiare pure che i cittadini non hanno alcun forzoso controllo

Il Presidente della Regione siciliana Musumeci critica la normativa che prevede lo scioglimento dei Comuni...

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Il Presidente della Regione siciliana Musumeci critica la normativa che prevede lo scioglimento dei Comuni per mafia e andrebbe rivista.

“La notizia è di questi giorni: con Mistretta e San Cataldo salgono ormai a dieci i Comuni “sciolti” per mafia in Sicilia –scrive il Presidente della Regione siciliana Nello Musumeci– Un dato che suscita seria preoccupazione e che rischia di rendere più profondo il divario tra la piazza e il Palazzo, tra la gente e la politica. E, come sempre, ci si divide tra chi si sente offeso da un provvedimento così drastico che induce a facili generalizzazioni («in questo paese siamo onesti e non mafiosi!») e chi saluta con soddisfazione il pesante intervento dello Stato («hanno fatto bene a mandarli tutti a casa!»). Al di là delle contrastanti reazioni emotive o strumentali della gente, il crescente fenomeno dei Comuni sciolti per mafia invita ad alcune serene riflessioni”.

E continua: “In questo momento 167mila siciliani non sono amministrati da organi elettivi: in dieci Comuni dell’Isola la democrazia, in un certo senso, rimane sospesa per almeno diciotto mesi, ma anche fino a due anni. Il decreto di scioglimento, inutile dirlo, si rivela fortemente invasivo nella vita civile di una comunità, ma siamo di fronte ad una misura dello Stato straordinaria, di natura preventiva e perciò caratterizzata da una certa discrezionalità dell’autorità proponente (la Prefettura). Per sciogliere un Comune, infatti, non è necessario l’accertamento di reati penali, ma è sufficiente che emerga una possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata, anche a prescindere dal fatto che i politici abbiano voluto assecondare le richieste mafiose.

E aggiunge: “Ma se l’applicazione di una norma non sempre porta ai risultati sperati, lo Stato rischia di non essere più in sintonia col comune sentire dei cittadini. Un esempio: decine di Comuni, dopo essere stati sciolti per mafia una prima volta, tornano ad esserlo per la seconda e, in alcuni casi, anche per la terza volta. È capitato anche in Sicilia. Cosa significa? Che la normativa sullo scioglimento dei Comuni, ormai dopo quasi trent’anni, va rivista, anche per alcune incongruenze che rendono il provvedimento spesso inutile se non dannoso. Ne cito due. Prima incongruenza: perché in un Comune sciolto per mafia, lo Stato allontana solo il ceto politico e lascia al proprio posto i dirigenti della burocrazia comunale?”

Ma soprattutto ben precisa il presidente Musumeci e che si condivide pienamente: “Eppure è risaputo che in uffici a “rischio” il dirigente – volente o nolente – si trova spesso a fungere da “cerniera” tra il consenso del politico e la pressione del mafioso. Cosa fare, dunque? Estendere gli effetti del provvedimento di scioglimento anche ai vertici burocratici. Il segretario comunale, i dirigenti alla guida di uffici strategici e con un’ampia sfera di autonomia decisionale non dovrebbero rimanere al loro posto. Anche in assenza di indizi, andrebbero destinati ad altro ente (senza dover subire alcun danno economico) per tutta la durata del commissariamento ed essere sostituiti da dirigenti esterni assolutamente estranei all’ambiente sociale e professionale del Comune sciolto”.

E tocca un tasto notoriamente dolente quanto dissimulato che da queste pagine ancora si condivide nuovamente: “Seconda incongruenza: perché in un Comune sciolto per mafia, lo Stato manda commissari straordinari già oberati da altri gravosi impegni d’ufficio e senza neppure verificarne la idoneità e l’attitudine al governo di un Ente? Ho conosciuto in questi anni commissari assai competenti ma presenti al Comune solo per uno-due giorni la settimana, perché già assorbiti da altro incarico. Un Comune commissariato non è un “Dopolavoro” da frequentare nel tempo libero: bisogna starci sette giorni su sette. E servono commissari che abbiano propensione al dialogo e al confronto con i cittadini. Sarebbe perciò necessario istituire presso il ministero dell’Interno un apposito Albo di dirigenti pubblici che abbiano tutti i requisiti per essere destinati ad amministrare Comuni sciolti. Rimane il tema dei “poteri” in deroga da affidare alla gestione commissariale: in condizioni straordinarie servono misure straordinarie, azioni propulsive e di crescita, se si vuole restituire alla comunità un Ente libero da ogni opacità e non più vulnerabile. Queste riflessioni ho rassegnato nei giorni scorsi al Ministro dell’Interno, proponendo in sede di riforma anche la previsione di una sorta di “diffida” ai Comuni appena afflitti da patologie legate a possibili condizionamenti o infiltrazioni. Una forma, cioè, di tutoraggio dello Stato, affidato alla Prefettura, prima di arrivare alla ineluttabilità dello scioglimento. Che è e resta un evento traumatico ma necessario, quando non è usato come strumento di lotta politica tra opposti schieramenti”.

E conclude seppure ad avviso di queste pagine in modo stilistico: “Tutto il resto rimane affidato all’etica della responsabilità della politica, dei partiti, dei movimenti locali, delle associazioni civiche. Nulla può prescindere dalla rigorosa selezione del personale militante, dei candidati alle elezioni, delle loro scomode parentele e frequentazioni, della insidiosa e sempre più diffusa “zona grigia. Una politica che sappia fare scelte coraggiose ed anche impopolari, che non deleghi sbrigativamente la magistratura ma sappia fare pulizia al proprio interno, prima che arrivi la Procura. È troppo sperarlo?”.

Riguardo al recente scioglimento in Sicilia di due comuni ce ne siamo occupati in questo articolo “Sciolti per mafia i Comuni di San Cataldo (CL) e Mistretta (ME)”.

La relativa normativa è stata rivista ad ottobre del 2018 dal nuovo Governo 5stelle-lega e vi è anche nutrita Giurisprudenza che appare univoca. Si cercherà qui di seguito di riassumerne gli aspetti più lampanti.

La conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 113 del 4 ottobre 2018, G.U. 03/12/2018, cosiddetto decreto Salvini su sicurezza e immigrazione, ha affrontato la questione sempre più diffusa, soprattutto al Centro-Sud Italia, del fenomeno dello scioglimento dei Consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa. Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali viene disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e rappresenta l’espressione di un potere straordinario dello Stato cui è possibile far ricorso solo in occasioni altrettanto straordinarie (così la Corte Costituzionale 19 marzo 1993, n. 103, a proposito dell’art. 15 bis, L. n. 55/90).

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa (vedi la sentenza della III sez. Consiglio di Stato n. 2054 del 2015, riguardante il comune di Augusta), lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non presuppone la commissione di reati da parte degli amministratori né l’esistenza di prove inconfutabili sui collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali, anche se le risultanze delle indagini penali ovvero l’adozione di misure individuali di prevenzione possono certamente costituire la base per la proposta di scioglimento dell’ente (vedi al riguardo anche l’ordinanza del Tar del Lazio n. 2898 del 2016, che ha negato la sospensione dei decreti di scioglimento e di indizione delle nuove elezioni nel comune di Badolato pur in presenza di una successiva sentenza di assoluzione dell’ex sindaco da parte del Tribunale di Catanzaro; con la successiva sentenza n. 10049 del 2016 il ricorso è stato respinto, proprio sulla base degli altri numerosi riscontri contenuti nelle relazioni prefettizie e delle stesse motivazioni della sentenza di assoluzione; e tale decisione è stata successivamente confermata dal Consiglio di Stato, sentenza n. 3134 del 2017; nello stesso senso anche la sentenza del Tar Lazio n. 816 del 2018: l’assoluzione di alcuni amministratori locali decretata dalla Cassazione in ordine al reato di associazione di tipo mafioso non fa venir meno la validità del complesso degli elementi alla base dello scioglimento del comune di Marina di Gioiosa Ionica. Vedi da ultimo anche la sentenza del Consiglio di Stato n. 3170 del 2017). Conseguentemente, non è necessario attendere la definizione del giudizio penale per procedere in merito all’eventuale scioglimento dell’ente (in tal senso vedi anche la sentenza del Tar Lazio n. 1349 del 2016, che ha respinto la richiesta di rinvio della trattazione del ricorso di fronte al giudice amministrativo all’esito del procedimento penale per concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti dell’ex sindaco di Scicli). L’Amministrazione gode di ampia discrezionalità nella ricostruzione del contesto ambientale e nella valutazione degli elementi su collegamenti, diretti o indiretti, o su forme di condizionamento da parte della criminalità di stampo mafioso: in base alla legge è sufficiente che ci siano “elementi concreti, univoci e rilevanti” volti a far ritenere un collegamento tra l’Amministrazione e i gruppi criminali. A tal fine va considerato l’insieme dei fatti ed episodi sintomatici, “che isolatamente considerati potrebbero anche non essere particolarmente significativi o determinanti, ma che rilevanza acquistano in una considerazione di insieme” (così sentenza del Consiglio di Stato n. 1266 del 2012).

C’è tuttavia un altro punto che da queste pagine è sempre stato ritenuto importante ed evidenziato ma che incomprensibilmente sembra essere ignorato da tutto l’arco politico. Ovverosia il cittadino comune non ha alcun potere di forzoso controllo sulle Amministrazioni comunali. La normativa gli è palesemente avversa.

Ci si era occupati tempo addietro di quest’ultima problematica prendendo proprio a spunto una proposta del Presidente Musumeci che però non ebbe alcun seguito fattivoUna commissione Regionale Antimafia che controlli la Pubblica Amministrazione” in cui si scriveva che “Dopo la mafia criminale, il peggiore male sociale che ha l’Italia (e la Sicilia) è risaputamente la Pubblica Amministrazione. Dallo Stato centrale, alle Regioni, Enti, Partecipate, Comuni, ecc. Un pianeta da sempre incontrollato e incontrollabile. Un mondo che ha di tutta evidenza e notoriamente la compiacenza di politici, sindacati, intellettuali ed eserciti di cittadini pronti a tutto pur di entrarvi”.

Si riprendeva in quell’articolo anche una dichiarazione del 2016 del Procuratore Capo di Catanzaro dr. Gratteri che individuava uno dei motivi per cui i Comuni sono spesso in mano alla corruzione e alla criminalità <<La riforma Bassanini è stata un grande, anche se involontario, favore alle mafie, perché  ha tolto il CORECO (Comitato Regionale di Controllo). Un sindaco solo davanti al mafioso che va lì e gli dice «No questa delibera deve passare.» il primo cittadino cosa risponde «Guarda che è inutile che la facciamo perché tanto il CORECO la boccia». Oggi non c’è nemmeno quello”. Ha dichiarato Gratteri in un’altra fase dell’incontro. “Quando il capomafia concorre a votare il sindaco, perché la cosa terribile per i politici solo le ultime 48 ore quando hanno paura di non essere eletti, fanno patti con il diavolo. Bisognerebbe incatenare i candidati gli ultimi tre giorni per non farli andare nelle case dei capimafia. – afferma il magistrato che prosegue – Oggi rispetto a venti anni fa sono loro che vanno a casa dei mafiosi a chiedere pacchetti di voti in cambio di appalti perché la mafia è più credibile di loro. Trenta quaranta anni fa era il contrario: era il boss che andava dal politico a chiedere il posto per la nuora, o di non far fare la leva al figlio>>.

Si è ritornati sull’argomento con altri articoli. In uno “Comuni, un noto “bancomat” per amministratori e codazzi” si era scritto che “sull’onda di fine anni ’90, col mantra del federalismo e decentramento, fu varata la riforma del Titolo V della Costituzione che è entrata in vigore l’8 novembre 2001 dopo un lungo iter normativo. Il Senato, con deliberazione adottata l’8 Marzo 2001 (Governo Amato II) ha approvato la Legge Costituzionale n. 3/2001, cosiddetta riforma Titolo V della Costituzione, artt. 114–132, con cui si disciplinano le autonomie locali. All’epoca, si giunse all’approvazione con una maggioranza inferiore a quella richiesta (maggioranza qualificata dei due terzi dei membri delle Camere) e per questo tale legge è stata sottoposta a referendum confermativo il 7 ottobre 2001 (Governo Berlusconi 2), il quale si è concluso con esito favorevole all’approvazione della legge con il 64% dei votanti si è espresso per il sì, così entrando in vigore il mese successivo … dal quel 2001 si è scatenata in ogni Palazzo Pubblico della Nazione Italia, soprattutto nelle Regioni, la grande e decentrata manciugghia, spreco, sperpero, ecc. Nei comuni a maggior ragione, poiché furono conseguenzialmente soppresse le “commissioni provinciali di controllo” (ex CC.PP.C.) e il “Comitato regionale di controllo” (ex CO.RE.CO), che era un organo della Repubblica italiana, precisamente delle regioni. Nessuno da quel momento controllò più le delibere e gli atti dei Comuni”.

Come sempre da queste pagine, seppure da profani si propongono delle possibili soluzioni. In un altro dei diversi articoli “Abbattere la corruzione sarebbe già metà della ripresa nazionale sociale ed economicasi proponevaSi dovrebbero pertanto, almeno per i Comuni, ripristinare gli organi di controllo (come il CO.RE.Co, Comitato regionale di controllo e la Commissione Provinciale di controllo), ma con criteri inoppugnabili di rotazione e composti con anche nuove figure, quali Magistrati e Finanzieri, però quanto meno provenienti da regioni diverse e neppure limitrofe a quella in cui opererebbero … Va poi abolito il limite dei 15 mila abitanti previsto dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016 per cui i rispettivi amministratori non devono rendere noti i loro redditi e quelli dei propri parenti diretti (una norma che favorisce anche la mafia)”.

E la Sicilia che è a Statuto Speciale in materia di Enti locali autonoma, potrebbe propugnare subito una norma che ripristini questi Organi amministrativi di controllo al fine di ripristinare un riscontro democratico e quindi maggiore certezza di legalità negli Enti isolani.

Inoltre, sempre nel medesimo nostro articolo si evidenzia come “… la legge 97/2016 sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione, che in buona parte è una discreta norma, ma di tutta evidenza deliberatamente inefficace e incompleta. Mancano infatti le immediate conseguenti sanzioni a carico dell’Amministrazione opaca se non anche omertosa e reticente. Il consigliere di minoranza o anche il comune cittadino, dopo che ha messo in luce le locali irregolarità, non può e non dovrebbe, in una Nazione civile, democratica e repubblicana, doversi esporre a costosi ricorsi e spese legali, oltre a conseguenze a cui potrebbe andare incontro con anche ritorsioni trasversali verso la propria famiglia”.

Dal 1991 al 2018 sono stati emanati nel complesso 481 decreti ex art. 143 del testo unico sugli enti locali (scioglimento dei consigli comunali e provinciali), dei quali 167 di proroga di precedenti provvedimenti; su 314 decreti di scioglimento, 25 sono stati annullati dai giudici amministrativi. La Calabria è la prima delle amministrazioni sciolte per mafia o più esattamente per ‘ndrangheta, seguita dalla Campania, poi Sicilia, Puglia e altre regioni-

Adduso Sebastiano

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