Associazionismo preda del clientelismo. Cosa dice la norma

È infatti notorio, ma senza con questo volere generalizzare, che l’associazionismo è divenuto nel tempo: un bacino di clientelismo politico; una forma di evasione e arricchimento con soldi pubblici; un lavatoio di prestanome di ogni genere; un mercato del voto di scambio; un pozzo senza fondo di elusiva utilizzazione di fondi pubblici specialmente regionali e comunali per mantenere codazzi elettorali; una mistificata assegnazione di sovvenzionati posti per sottogoverno o sottoamministrazione; una manifestazione di potere politico a favore di chi è cortigiano, mercenario, parente, mazzettaro, amante, ecc.

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C’è un proliferare di associazionismo e similari parallelamente a voto di scambio, omertà e opacità.

La nostra Costituzione all’art.18 recita: I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

La stessa Costituzione contempla la libertà associativa in relazione ai sindacati ed ai partiti politici. A livello comunitario la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea la accosta al campo “politico, sociale e civico” (art. 12).

Nella relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione che accompagnò il progetto di Costituzione della Repubblica italiana era detto che per il diritto d’associazione si adotta un criterio, che è garanzia di vasta libertà: le attività che ciascuno ha diritto di svolgere individualmente, nei limiti della legge penale, possono essere svolte anche in forma associata. Sicché pure molti Enti pubblici o para tali, che poi ricevono anche cospicui contributi, altro non sono che associazioni.

Come sempre e purtroppo in Italia, fatta la legge, si cerca l’inganno e quindi la deviata interpretazione se non persino l’ermeneutica correzione favorevole della norma.

È infatti notorio, ma senza con questo volere generalizzare, che l’associazionismo è divenuto nel tempo: un bacino di clientelismo politico; una forma di evasione e arricchimento con soldi pubblici; un lavatoio di prestanome di ogni genere; un mercato del voto di scambio; un pozzo senza fondo di elusiva utilizzazione di fondi pubblici specialmente regionali e comunali per mantenere codazzi elettorali; una mistificata assegnazione di sovvenzionati posti per sottogoverno o sottoamministrazione; una manifestazione di potere politico a favore di chi è cortigiano, mercenario, parente, mazzettaro, amante, ecc.

A volte e risaputamente non c’è solo la politica dietro l’associazionismo. Per questo non si entra in particolari (che si è avuto modo anche di apprendere in trincea) poiché spesso i confini appaiono smorti tra l’associazionismo, la politica, il mercimonio, la corruzione, la delinquenza e chi rappresenta lo Stato. Si rischia pertanto ritorsioni di ogni tipo.

Insomma con l’associazionismo ci si trova innanzi all’ennesimo esempio italiano di scarsa se non assente trasparenza.

Eppure c’è una recente norma che obbliga tutte le forme associative che ricevono contributi pubblici di rivelare su un sito aperto tutte le rispettive informazioni sui fondi ricevuti. Seppure (come per altre fattispecie) il Governo e la Maggioranza precedente hanno eluso che è soprattutto nei piccoli contributi erogati a pioggia e specialmente nei piccoli centri, che si favorisce il clientelismo, il voto di scambio, il controllo dell’elettorato e quindi della società.

La legge n.124 del 4 agosto 2017, ai commi 125 e 129, fa infatti obbligo di trasparenza sui contributi percepiti. Ed entro il 28 febbraio di quest’anno e successivamente ogni anno, tutte le associazioni, onlus e fondazioni destinatarie nell’anno precedente di contributi superiori a 10mila euro erogati da Amministrazioni pubbliche e da società partecipate, hanno l’obbligo di pubblicare sui siti web le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e a vantaggi economici di qualunque genere ricevuti l’anno precedente. L’inosservanza dell’obbligo comporta la restituzione delle somme ai soggetti eroganti.

Come evidenziato, l’aspetto omertoso e complice di tale norma è che sono conseguentemente esonerati da tale obbligo le Associazioni che ricevono – sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e vantaggi economici – inferiori a 10mila euro.

Si distingue in ciò il Veneto, nella cui Regione le Organizzazioni di Volontariato (L. 266/91) e le Associazioni di Promozione Sociale (L. 383/00) ed iscritte al Registro Regionale sono sempre tenute, sulla base della L.R. n. 30 del 30 dicembre 2016, a pubblicizzare i contributi ricevuti da Enti pubblici, indipendentemente dal loro importo. All’obbligo si assolve nel Veneto, compilando un apposito schema e attraverso la sua pubblicazione sul rispettivo sito internet dell’associazione, onlus, ecc.

Se ci fosse una norma analoga per tutta l’Italia e specialmente in Sicilia, la trasversale stantia politica perderebbe di certo parte del consenso poiché i cittadini(buoi)contribuenti (chiaramente non i tanti evasori guarda caso sconosciuti alle regioni e ai comuni) comprenderebbero dove in parte va a finire l’estorsione fiscale.

Come detto all’inizio non si vuole generalizzare. Ma se questo non si vuole, allora si deve ripristinare urgentemente la trasparenza totale ma per tutti, nessuno indenne in questa retorica, omertosa e buia Italia, qualsiasi veste, toga, doppio petto, tailleur e saio, s’indossi.

Come ha bene e giustamente detto di recente il nostro Presidente della Repubblica dr. Mattarella, “Nessuno è sopra la legge”. Tuttavia la “legge” deve finalmente iniziare e subito ad essere chiara, comprensibile, seria e severissima, ma per tutti, nessuno escluso.

In Italia per fare un po’ di luce basterebbe una norma simile (ovviamente quanto segue è una modestissima bozza): “Chiunque o qualunque cosa, nessuno indenne, prende soldi pubblici e a qualsiasi titolo, deve avere un sito in cui pubblica quanto ha percepito, da chi e se ente, partito, fondazione, associazione, sindacato, ecc. anche quando sono fondi privati e come entrambi, pubblici e privati, sono stati spesi.  L’inottemperanza entro trenta giorni comporta non solo la restituzione di quanto ricevuto ma anche una sanzione solidale a carico dei diretti responsabili pari al 20% di quanto percepito”.

Qualsiasi legge per quanto ben fatta, senza sanzioni o pene sui responsabili, si è dimostrata sempre inefficace, cioè è solo retorica politica, istituzionale e giuridica.

Noi cittadini ancora non comprendiamo chiaramente che il nostro nemico è interno, ovverosia quella parte di Stato, Regioni e Comuni, che occulta, oscura, manipola le norme e le fuorvia, mentre s’ingozza, ci estorce e anche ci inganna con veicolate propagande mediatiche, informative e teatrini politici.

Adduso Sebastiano

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