Aznavour, a 92 anni il debutto all’Arena

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Aznavoice: così venne soprannominato Charles Aznavour in Francia, dove veniva considerato la risposta a Frank Sinatra; il suo vero cognome è Aznavourian: nato a Parigi nel 1924, è il più celebre francese di origine armena, figlio del cuoco del governatore d’Armenia e di una ragazza appartenente a una famiglia di commercianti

C’è chi debutta a 92 anni, quando ha già venduto 300 milioni di dischi e ha alle spalle 70 anni di palcoscenico: Charles Aznavour, ieri sera ha avuto la sua prima all’Arena di Verona. Cantare nel più grande teatro all’aperto del mondo, dice, non lo spaventa, anche se preferisce spazi più raccolti. E nonostante le cifre da record della sua vita d’artista, preferisce tenere un profilo basso: “Mi sento un artigiano”. Capace di incantare l’Arena.

Con Aznavour all’Arena in scena la storia del 900

Lo chansonnier francese, 92 anni, chiacchiera in tre lingue porge senza pause canzoni che hanno fatto sognare generazioni

VERONA – Spicca soltanto l’argento dei capelli sulla figurina minuscola, tutta in nero, che si affaccia nel buio sul palcoscenico dell’Arena di Verona. Stasera c’è appuntamento non con la nostalgia ma con la storia del Novecento: ne è testimonial Charles Aznavour.

È un fenomeno di longevità umana e artistica, ben contento di prender in giro l’universo mondo dall’alto dell’anagrafe: «I critici dicevano che non avrei mai potuto avere una carriera da interprete, sono morti tutti e io ho 92 anni», sorride orgoglioso e beffardo, e continua l’affondo: «Dicono che per star bene non bisogna mangiare grassi, zuccheri, sale. Sono stati il mio nutrimento principale».

Applausoni dalla platea; i quasi ottomila non certo giovanissimi che popolano l’Arena magari non saranno fortunati né vecchi come lui, ma il sogno è invecchiare così, mangiando e cantando quel che ti pare. Si percepisce un’allegria frizzante, come di miracolati che assistono a uno show teoricamente impossibile. Aznavour è implacabile, va avanti senza pause in 3 lingue, chiacchiera un sacco, porge canzoni che hanno fatto sognare generazioni come Morir d’amore, Quel che non si fa più, e la gente non ci bada poi troppo quando musica e canto stridono proprio su uno dei suoi più grandi successi, L’istrione. All’Arena, con Aznavour, si festeggia la vita che non vuol morire.

Il rock ci ha abituati al giovanilismo rugoso di nomi leggendari come Paul McCartney o i Rolling Stones, che a 70 passati affrontano impavidi e con un’energia da giovincelli saltellanti due o tre ore di concerti in stadi e arene in tutto il mondo. Non parliamo di Springsteen, che a 67 ha appena battuto il proprio record personale, a Philadelphia, suonando per 4 ore e 4 minuti il 7 settembre scorso. Certo li vedi alla fine delle serate che non hanno più niente di umano, e ti chiedi come faranno il giorno dopo. Ma che l’Ego e la passione sconvolgano le leggi fisiche, mantengano in vita e diano anzi vigore, è definitivamente provato da Charles Aznavour.

Davvero, un fenomeno. Con lui entriamo in un’altra storia: di Keith Richards o di Bruce, il grande chansonnier francese potrebbe essere il papà, è anzi l’ultimo rappresentate di una generazione di cuore e di passione, di melodia romantica e intensa, di una supremazia ancora della cultura francese sul poi imperante dominio angloamericano.

Ed è qui a ricordacelo, con una tigna quieta, come in una sfida perenne alle leggi fisiche e vocali. In scena la sua voce si è naturalmente appannata, così come la leggendaria enfasi con la quale inanellava storie romantiche e le sofferenze d’amore che ora continuano a scorrere («Non mi ricordo delle parole, e mi faccio aiutare dal gobbo – confessa in scena – però a differenza degli altri io lo dico») con la forza di un repertorio storico, noto ormai soltanto a chi ha compiuto almeno 50 anni.

Soltanto lo scorso luglio, a Milano, mi ha sussurrato all’orecchio, con civetteria: «Sa, non faccio più tanti concerti come prima. Però una volta cantavo un’ora, adesso due». Del resto, da tutta la vita canta: «Il faut savoir quitter la table / mais moi je ne sais pas». Bisogna sapere lasciare il tavolo, ma io non lo so fare.

Infatti. Mai nessuno aveva provato a 92 anni a imbarcarsi per un tour mondiale che si sta quietamente svolgendo, a tappe non ravvicinate di sicuro, in spazi di affluenza enorme, come l’Arena appunto nella quale ha chiuso ieri la tranche europea, per ricominciare poi a metà ottobre negli Stati Uniti. Anche lì mica teatrini: a New York faranno festa con lui al Madison Square Garden.

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