Lucariello, il cantastorie di Gomorra

Con la sua canzone “Nuje vulimme una speranza” è conosciuto in tutta Italia, ma Lucariello...

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Con la sua canzone “Nuje vulimme una speranza” è conosciuto in tutta Italia, ma Lucariello è il volto di un paese che si racconta.

E’ Lucariello che presta la voce per la sigla “Nuje vulimme una speranza” della la serie più famosa in assoluto della storia delle series cioè Gomorra. E’ un veterano tra i rapper napoletani che a soli 39 anni è riuscito ad avere successo grazie alla serie, ma anche al suo talento. Ha iniziato giovanissimo a cantare: a 16 anni suonava nei centri sociali ed a 19 era il componente della band Clan Vesuvio in collaborazione con gli Almamegretta, passando per il successone della serie, diventato il tratto distintivo: “quando canta Lucariello con Nto sta iniziando Gomorra”. E’ così che i ragazzi hanno iniziato a cantare in tutta italia le sue canzoni. Nel documentario di Beppe Tufarulo intitolato Gomorrah Sound è proprio raccontata la storia “musicale” di Gomorra, con i suoi personaggi di spicco, tra cui lo stesso Lucariello, ma anche Franco Ricciardi, il gruppo rock Mokadelic, Enzo Dog ed Ivan Granatino. Il rap ha assunto un valore sociale nella sua carriera, come artista che ha iniziato nei vicoli napoletani, ma anche per contrastare, attraverso le nuove forme d’espressione una piaga molto più profonda di Napoli. Infatti, come racconta per l’Adnkronos:<<Il rap per raccontare, per contrastare la camorra abbiamo cominciato a usarlo a fine anni ’90 inizio anni 2000, prima cioè di Gomorra libro, film e serie tv, parlando necessariamente di violenza (tratto distintivo del gangsta rap, ndr) e nel 2007 feci ‘Cappotto di legno’ sulla vicenda di Roberto Saviano in un momento in cui non era ancora un personaggio televisivo e aveva bisogno di visibilità”. Il brano racconta l’ipotetico assassinio di Saviano dal punto di vista del killer, con anche i campionamenti della voce di Nicola Schiavone, padre del Boss Francesco Schiavone detto sandokan, che definisce lo scrittore “un pagliaccio, un buffone”. “Il successo della serie ha reso credibile, anche al di fuori di Napoli, anche fra chi non ama il rap, la nostra musica come mezzo per raccontare la strada, la criminalità, la violenza. L’uso della lingua, del napoletano, è diventato un marchio, positivo. Si è aperto un canale -prosegue Lucariello- quello che facevamo è stato capito. E’ così, ad esempio, che è nata la collaborazione (nel 2015 per ‘Pablo Escobar’ e ‘Vittoria’) con Fabri Fibra: dopo ‘Gomorra’ lui aveva capito cosa facevo”. Nella serie tv, come nelle strade di Napoli, i ritmi sincopati dei rapper si accavallano alle strofe dei neomelodici e fra i due fronti musicali c’è meno distanza di quanto si possa pensare: “Sono musiche molto lontane ma spesso raccontiamo storie simili e poi ci sono autori come Ricciardi che hanno creato un ponte fra le due realtà musicali fra la melodia mediterranea e la musica urbana>>. Il docufilm che è stato realizzato, non solo ha l’obbiettivo di tracciare un filo rosso sulla storia della musica partenopea e rap fino ad oggi ma anche di documentare il tessuto sottostante alla serie, quello musicale, he vive ed è cresciuto proprio tra Le Vele, un set a cielo aperto, ormai sotto i riflettori del mondo. Proprio il tessuto musicale, apparentemente lontano, se non per le tematiche, dalle vicende della serie è una testimonianza importante di potere dei clan: infatti, è notissimo come i boss mafiosi abbiano negli anni chiamato per gli eventi importanti delle proprie famiglie i più famosi rapper o neomelodici a cantare: da Gigi D’Alessio ad Alessio. Sono la dimostrazione del potere che diletta i propri ospiti con performance dei “vip di Napoli”, quelli che si sentono cantare dalle radio accese dei bassi della città o proprio dalle Vele.

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