Acrobazie linguistiche: cià (ciao), xchè, xrò …..

Ogni volta che parlo al telefono con alcuni dei miei amici, si saluta con un...

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Ogni volta che parlo al telefono con alcuni dei miei amici, si saluta con un Cià (ciao)!
Un vero inarrestabile tormentone.
Ieri il mio amico mi scrive “Cià” e io rispondo “o” e lui “Che significa?”, “…ho completato, tutto qui”.
Inutile dire che quelli che usano “xché” o “xò” li radierei a vita dalla mia.
Mi sono interrogato sulla questione.
La prima cosa che vorrei dire è che il “Ciao” iniziale è simpatico, il “Ciao” finale è insopportabile, perché apre amichevolmente ma chiude distanziando.
Spesso un “Ciao” può equivalere a un vaffan…., detto nel modo giusto a un “Ciao” simpatico.
Il “Ciao” pare innocuo ma è spinoso. Soprattutto se utilizzato al posto della forma educativa del “Buongiorno”, “Buonasera” o “Buon pomeriggio” con chi non si conosce. Forse per questo l’epidemia linguistica popolare preferisce dire “Ciao”, per far diventare simpatica una chiusura antipatica.
Come quando ti dicono “Non puoi capire”, in discorsi in cui non c’è niente da capire o “Non ho parole” e parlano per ore e chissà che tante volte non l’abbia fatto anch’io!
Nei sentimenti poi si dice “Ti amo tantissimo” al di là dei t.v.t.b., senza capire che è meno di “Ti amo”, perché “Ti amo“ è totale, “Ti amo tantissimo” è relativo, significa che potresti amare di più.
Mentre l’odio è intatto. “Ti odio tantissimo” farebbe ridere.
Io saluto le persone che mi stanno simpatiche con “baci” o “un abbraccio” ma alcune/i ti rispondono con “Besos”, perché detto in spagnolo fa più chic o con “Kisses”, molti altri per sentirsi intimi mi chiamano “Vince”, “Vincent” o “Vì”, quando intimi non lo si è affatto.
Anche i “Sì” e i “no” sono diventati problematici, innanzitutto perché molti non sanno che il “Sì” affermativo è accentato, poi c’è questa necessità di ripetizione, è tutto un “Sì, sì, sì”, “No, no, no”.
Quindi “Ci vediamo per le otto?”, “Sì, sì, sì” oppure “Ti disturbo?”, “No, no, no” oppure “Come no!” che significa “Sì, sì, sì” e perfino l’affettività del “Cià” sta entrando in crisi e più di frequente nelle telefonate è rafforzato in “Cià, cià, cià”.
Le espressioni peggiori della lingua sono contagiose, come le canzoni che non sopporti e ti viene da fischiettarle lo stesso e ti detesti.
L’altro giorno, parlando con un amico che avrei visto da lì a poco, mi dice: “Ci becchiamo in centro”. Ci becchiamo? E mica siamo piccioni.
Senza contare quante cose sono diventate “ufficiali”. Tipo “È ufficiale, sono nella merda”.
Almeno che tu non sia “fuori come un balcone”, espressione che per esempio ricordo usava Simona Ventura ogni tre frasi e non ho mai capito perché proprio come un balcone e se con gerani o meno e perché l’essere fuori, che in genere mi dicono abbia un valore spregiativo rispetto all’essere dentro, quando appena possono vanno tutti fuori, al mare o in montagna o semplicemente fuori (e tra l’altro si “esce fuori” e si “entra dentro”, quasi fosse possibile “uscire dentro” ed “entrare fuori”), un po’ come il “giù da basso” o il “su di sopra”.
Giornalisticamente mi vengono poi in mente i continui “uomini di colore”, chissà quale? E le Emergenze, vogliamo parlarne? “Circostanza imprevista”, quando invece è diventato tutto molto prevedibile.
Intramontabili ed evergreen i “praticamente”, di cui spesso faccio abuso, in una civiltà che ha solo il senso del pratico! Gli “assolutamente”, in una società che non ha niente di assoluto. Infine l’immancabile “straordinario”, quando tutto in realtà, purtroppo, sta diventando “assolutamente” normalissimo.
Siamo talmente disabituati alle espressioni corrette che l’altro giorno al termine di una telefonata con un amico, lo saluto dicendo: “Ciao, buona giornata”, ma lui dopo tre minuti mi richiama per altro ed io riattacco con “Bene, Cià”, mi è scappato.

Vincenzo Vanacore

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