Trump sfida Cuba: migliorare l’intesa a favore dei cubani nell’isola e negli Usa

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Fidel Castro è morto, Donald Trump è il presidente eletto degli Stati Uniti. L’effetto di questa coincidenza è che Trump Trump sfida Cuba sull’intesa L’Avana-Washington siglata da Obama appena un anno fa: “Se Cuba non vuole un accordo migliore per il suo popolo, per i cubano-americani e per gli Stati Uniti, metterò fine all’intesa”.

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L’AVANA – «Se Cuba non vuole fare un accordo migliore per il suo popolo, per i cubano-americani e per gli Stati Uniti, io metterò fine all’intesa». Il presidente eletto Donald Trump ha scelto ancora Twitter per comunicare la sua linea dura a L’Avana. Se il regime non è disposto a cambiare i termini dell’accordo con cui Obama ha ristabilito le relazioni bilaterali a dicembre 2015, lui è pronto a cancellarlo. Ora si tratta di capire quanto questa durezza sia retorica politica, dovuta per compensare gli elettori di origini cubane che lo hanno aiutato a vincere in Florida, e quanto invece sia una linea meditata che riporterebbe agli anni duri dell’embargo.

Ieri mattina alle 9 dall’aeroporto Kennedy di New York è decollato il primo volo commerciale americano per Cuba in oltre mezzo secolo. L’aereo apparteneva alla JetBlue, e poco dopo l’American Airlines ha fatto il suo debutto, da Miami a L’Avana. In realtà i voli diretti tra i due Paesi esistevano già da tempo, ma non erano commerciali come quelli di ieri. Trump però minaccia di bloccarli sul nascere, così come tutti i progetti di investimento per lo sviluppo dell’isola, se Raúl Castro non farà più concessioni, ad esempio liberando i dissidenti, consentendo la libertà di espressione, convocando elezioni davvero libere e democratiche e compensando i cubani americani, le cui proprietà furono confiscate dopo la rivoluzione. «Il presidente eletto Trump – ha spiegato la sua consigliera Kellyanne Conway – è aperto alle relazioni bilaterali, ma in cambio non abbiamo avuto nulla. Fingiamo di fare affari col popolo cubano, quando in realtà li concludiamo col governo e le forze armate, che controllano ancora tutto».

Pochi capiscono le prospettive di sviluppo esistenti a Cuba meglio di Trump, perché consistono soprattutto nel turismo, gli alberghi, i campi da golf e l’edilizia residenziale. Infatti negli anni scorsi aveva visitato l’isola, aveva criticato l’embargo, che non era riuscito a rovesciare il regime, diventando invece la giustificazione del pugno di ferro adottato dai fratelli Castro. Poi però si è candidato alla Casa Bianca, e ha capito che come repubblicano non poteva più tenere questa posizione. Durante uno dei suoi viaggi elettorali in Florida ha incontrato in segreto gli esponenti della comunità cubana, gli eredi di Jorge Mas Canosa, alleato di Ronald Reagan e fondatore della Cuban American National Foundation, promettendo la linea dura contro L’Avana in cambio del voto. L’8 novembre ha vinto e quindi ora deve onorare l’impegno.

La realtà però non è così semplice. Come prima cosa l’amministrazione Obama sostiene che la riapertura delle relazioni è stata voluta da Castro perché ha bisogno di fondi, dopo la fine degli aiuti del Venezuela, e proprio i cubano- americani ormai sono proprietari di mezza isola, che hanno comprato mandando i soldi ai parenti rimasti nel Paese. Pochi capiscono come Trump le opportunità economiche di Cuba, che offrono anche una leva per fare pressione sul regime. Chiudere questi canali, invece, restituirebbe a Raúl la scusa dell’embargo per adottare politiche più repressive, e magari favorirebbe tensioni violente, scatenando una nuova ondata di profughi verso la Florida che metterebbe in crisi gli Usa.

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