L’affondo di Renzi: governo italiano debole con Macron

Matteo Renzi commenta gli attriti di questi giorni tra Italia e Francia – Fincantieri, la...

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Matteo Renzi commenta gli attriti di questi giorni tra Italia e Francia – Fincantieri, la Libia, i migranti – e, pur non attaccando il premier Gentiloni, punta il dito sulla debolezza del governo italiano. In un’intervista pubblica con il direttore de La Stampa Maurizio Molinari, Renzi spiega che “il problema è la fragilità di un governo che, non per colpa di chi lo guida, ha un orizzonte molto breve davanti a sé”.

L’affondo di Renzi su Fincantieri: “Governo debole di fronte a Macron”

Il segretario del Pd: “Il presidente francese fa solo l’interesse del suo Paese. Esecutivo fragile perché ha un orizzonte breve”. E rilancia sulla rete Telecom

MARINA DI PIETRASANTA – «Da me una parola contro Macron non l’avrete mai. Il presidente francese fa il suo interesse nazionale: il problema piuttosto è un governo italiano debole».

Se non vogliono essere un attacco al premier Paolo Gentiloni – «facciamogli un applauso» – le prime parole del segretario del Pd Matteo Renzi sulle tante occasioni di scontro tra Italia e Francia degli ultimi giorni assomigliano però a una critica all’irresolutezza italiana.

Da qualche giorno il leader del Pd pensava a come intervenire. Dopo il vertice parigino sulla Libia da cui Roma è stata esclusa e la marcia indietro del capo del governo libico al-Sarraj sulle nostre navi nelle acque di Tripoli, poi parzialmente rientrata, venerdì mattina Renzi avrebbe dovuto rilasciare un’intervista in radio. L’ha annullata all’ultimo minuto, per evitare di lasciarsi andare a commenti infuriati su Parigi e ancor di più a polemiche con Palazzo Chigi. Si è preso ancora un paio di giorni per pensarci, e ieri, nella pineta della Versiliana, sotto un sole ancora torrido nonostante l’ora, alla presentazione del suo libro “Avanti” moderata dal direttore della Stampa, Maurizio Molinari, ha cercato di dirla così: il problema non è l’attivismo di Macron, ma la fragilità di un governo che, non per colpa di chi lo guida, ha un orizzonte molto breve davanti a sé.

«Abbiamo sempre detto che, dopo il referendum, l’Italia avrebbe attraversato un periodo di debolezza, soprattutto a livello internazionale. Quello che sta facendo Macron era prevedibile, non ho niente contro di lui», risponde a precisa domanda sulle tensioni sulla rotta Parigi-Roma: «Il punto è che l’Italia deve andare a testa alta, noi ci siamo presi la flessibilità a sportellate» ma «questo governo ha davanti cinque o sei mesi», e in Europa «contano i rapporti di forza». Non è colpa insomma di Gentiloni, ci tiene a chiarire («avrà sempre la mia amicizia e il mio sostegno») ma di un governo strutturalmente debole, se le tensioni si moltiplicano e Parigi sembra talvolta farci lo sgambetto.

Come reagirebbe lui è facilmente immaginabile, per chi ricorda il Consiglio europeo di Bratislava di un anno fa in cui attaccò clamorosamente le conclusioni del vertice e anche gli alleati Francia e Germania, ma davanti alla platea accaldata di Marina di Pietrasanta, tra cui la moglie Agnese e la figlia Ester, renziani della prima ora come Simona Bonafè, il sottosegretario franceschiniano Giacomelli, l’ex lettiano Sanna, evita consigli a Gentiloni, «sa benissimo cosa fare». «Macron fa una battaglia su Fincantieri?

Bene, le regole europee lo consentono: consentiranno anche a noi di fare battaglie su altre partite», posto che nella prossima legislatura «abbiamo bisogno di un governo che abbia un progetto forte e autorevole nel rapporto con l’Europa». E se non è pensabile una ritorsione verso la Francia nazionalizzando Telecom («nessuno immagina di farlo») si può fare invece, propone il leader dem, «un ragionamento attorno a Cassa depositi e prestiti sulla rete, perché la rete è un asset fondamentale per il futuro del Paese».

Mescola futuro e passato nel suo discorso il segretario dem. Critiche a chi «va via col broncio, quando dopo che hai servito il Paese devi solo dire grazie» (riferimento chiaro al suo predecessore a Palazzo Chigi, Enrico Letta), punzecchiature agli scissionisti del Pd che hanno fondato un altro partito («se ne sono andati per paura delle primarie, auguri!»), bordate contro il M5S («un movimento eterodiretto che confonde il Cile col Venezuela»), dichiarazioni di fiducia per un Pd «diga contro i populismi». E c’è anche del personale, quando si tocca il tema degli sms fra lui e suo papà Tiziano intercettati e finiti ieri sulle pagine del Fatto quotidiano.

«Non so cosa accadrà quando e se mio padre, che è stato pedinato come un camorrista, sarà archiviato per la seconda volta. Dimostreranno che le intercettazioni erano regolari: non hanno rilevanza penale, chi le pubblica spiegherà perché le pubblica». Ma sul caso Consip dice di più: «Questa storia non può oscurare la vera storia: la Procura sospetta siano stati manomessi documenti e prove dell’allora presidente del consiglio: questo è tecnicamente un atto eversivo». Se qualcuno lo ha commesso, insiste, dovrà pagare: trovarlo per la magistratura non sarà difficile, si augura, «hanno lasciato più tracce di Pollicino».

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