Berlusconi rompe gli indugi e ammette: pronto a ricandidarmi

In un’intervista a Rai Parlamento Berlusconi ammette: «Sono in un’attesa spasmodica della sentenza della Corte...

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In un’intervista a Rai Parlamento Berlusconi ammette: «Sono in un’attesa spasmodica della sentenza della Corte europea di Strasburgo che purtroppo ci mette troppo tempo, tre anni, per esaminare un caso che non riguarda soltanto un singolo cittadino ma che riguarda un importante Paese europeo. Credo che questa sentenza dovrà arrivare e sono assolutamente sicuro che metterà in chiaro come non ci sia stata alcuna evasione da parte mia e quindi dovrei tornare nella possibilità di ricandidarmi. In quel caso il centrodestra non avrebbe la necessità di cercare altri leader».

L’annuncio di una possibile ricandidatura di Berlusconi, qualora la Corte di Strasburgo dovesse riabilitarlo, spiazza i leader degli altri partiti della coalizione. Non è un mistero, infatti, che sia Meloni sia Salvini sia Fitto facciano il tifo per le primarie; e che si vogliano presentare loro stessi come piloti di tutto il centrodestra. Ma sul tema il Cavaliere è stato chiaro: apertura ma soltanto a certe condizioni. Ossia che la contesa interna sia regolata per legge con regole chiare e certe perché «le primarie come quelle che fa il centrosinistra sono manipolabili e fasulle».

Nell’intervista a Rai Parlamento il Cavaliere torna anche a bocciare senz’appello le riforme costituzionali di Renzi:

«Il suo progetto non fa risparmiare ed è pericoloso. Con il combinato disposto della legge elettorale chi detiene una minoranza molto piccola potrebbe andare al potere ed essere padrone del proprio partito, della Camera, e di tutto il Paese» e sui toni troppo accesi in questa campagna elettorale spiega: «La colpa non è nostra ma di tutti quelli che fanno propaganda per il Sì. Dicono che se vince il No ci sarebbe il caos ma non è vero niente: resteremmo con la nostra Costituzione e si aprirebbe lo spazio per sedersi a un tavolo e fare sia una riforma condivisa sia una nuova legge elettorale» – ed aggiunge – «Se vince il Sì si continua con questa Italia che sappiamo non essere in buone condizioni: la ripresa stenta, la disoccupazione è aumentata all’11,4%, la disoccupazione giovanile è quasi al 40%, è aumentata la povertà, un quarto degli italiani si trova in una situazione di povertà assoluta (4 milioni e 600mila), e 10 milioni e 400mila sono in condizioni di povertà relativa».

Infine torna sulla battuta del «Renzi leader»: «Nella sinistra lui appare l’unico leader. Nel centrodestra il leader ero io, e sono stato reso incandidabile. Abbiamo però delle idee molto differenti, perché Renzi viene dalla Democrazia cristiana di sinistra, perciò ha dentro uno statalismo molto spinto, e di carattere è persona che vuole imporsi. Molto lontana da me che sono molto equilibrato».

Quella del Cavaliere è una dichiarazione dettata dal pragmatismo. Berlusconi è convinto (e i sondaggi glielo confermano) che se il centrodestra non torna a catturare i voti al centro dello schieramento di cui Fi era depositaria, l’unico vincitore sarà il M5s di Beppe Grillo. Una prospettiva che lo atterrisce e che lo costringe a giocare in difesa: ostacolando da un lato l’ascesa di Salvini a leader del centrodestra e manifestando dall’altro la disponibilità a sedersi attorno al «tavolo» del post referendum «per cambiare la legge elettorale e questa riforma costituzionale». Ovvero lo stesso tavolo (e con le stesse pietanze) apparecchiato all’indomani delle politiche del 2013, che portò alla grande coalizione Pd-Fi. Perché il progetto si realizzi serve anzitutto che il 4 dicembre prevalga il No e Matteo Renzi venga sconfitto. Ma deve essere una sconfitta di misura, che non consegni la vittoria al fronte opposto, ovvero a Grillo e Salvini. L’operazione per realizzarsi necessita però di un altro presupposto fondamentale: la tenuta di Fi, dei suoi gruppi parlamentari. Una vera conditio sine qua non che non è affatto scontata. La contrarietà di gran parte del gruppo dirigente all’esperimento Parisi, il consolidamento del legame con Salvini di alcuni big azzurri come il governatore della Liguria Giovanni Toti, la richiesta di primarie sono crepe visibili che potrebbero trasformarsi in vere e proprie falle, soprattutto se il progetto del Cavaliere non offrisse prospettive su un ritorno certo in Parlamento.

vivicentro.it/politica
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ilgiornale/Francesco Cramer – ilsole24ore/Barbara Fiammeri

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