Spese a 5 Stelle: musica seducente a una grande fetta della società meridionale

I 5 Stelle appaiono i più pronti a mettere le mani nelle casse del bilancio...

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I 5 Stelle appaiono i più pronti a mettere le mani nelle casse del bilancio pubblico per spendere di più incuranti di deficit e debito. E questo suona come una musica molto seducente alle orecchie di una grande fetta della società meridionale.

Quelli che fanno vedere le Stelle agli elettori del Meridione

Il mio amico Paolo Macry si è chiesto sul Mattino(a proposito, auguri per la sua nuova avventura professionale) come mai i Cinquestelle siano più forti nei sondaggi al Sud che nel resto del Paese. Ma, forse in ossequio a una certa cultura indulgente nei confronti dei difetti meridionali che alligna sulle colonne della sua nuova casa editoriale, mi è sembrato dimenticare la più inconfessabile e la più rilevante di queste ragioni. E cioè il fatto che i Cinquestelle, seppure nell’orgia di populismi che caratterizzano i programmi di tutte le forze politiche in lizza alle elezioni, appaiono oggi i più pronti a mettere le mani nelle casse del bilancio pubblico per spendere di più, ancor di più, sempre di più, incuranti di deficit e debito. E questo suona come una musica molto seducente alle orecchie di una grande fetta della società meridionale che ha perso da tempo la speranza di potercela fare con le sue forze nella competizione del mercato globale, creando così ricchezza vera e per tutti.

E si è invece pigramente rassegnata all’idea che il suo benessere possa dipendere soltanto dai soldi pubblici, cioè dai soldi raccolti con le tasse dei cittadini, nell’illusione che questo generi un trasferimento di ricchezza dal Nord, dove il reddito è più elevato e dunque più tassato, al Sud, dove il reddito privato è più basso e l’evasione elevata. Eppure al mio amico sarebbe bastato aspettare il mattino dopo per leggere sullo stesso giornale una esaustiva intervista di Luigi Di Maio nella quale, per chiedere il voto dei meridionali, non si rinunciava a nessuno dei luoghi comuni dell’assistenzialismo di casa nostra.

Quando promette di spendere 17 miliardi l’anno per dare un salario a chi non lavora in cambio (che trovata!) di un po’ di formazione, quando garantisce così a ogni famiglia con due figli con più di 14 anni uno stipendio di 1.950 euro mensili, a chi credete che si rivolga Di Maio, se non alle coorti di cittadini meridionali i quali, non avendo un lavoro e un reddito o non avendolo regolare e trasparente, non avrebbero mai osato sperare in un salario garantito dallo Stato? Invece di creare lavoro, creare stipendi: non è forse questa la più massiccia operazione di assistenzialismo mai immaginata finora nella storia della Repubblica, fatta in nome dei poveri ma destinata ad aggravare le disuguaglianze perché punisce chi ha un’occupazione e premia chi sta nel sommerso e nel nero? E quando Di Maio annuncia la fine delle misure antievasione, volete che non piaccia da morire a tutti coloro che agiscono nell’illegalità o ai limiti della legge, sottraendo così risorse a chi nel Mezzogiorno le tasse le paga? E come pensa Di Maio di finanziare l’abolizione della riforma delle pensioni se non facendo più deficit e quindi accrescendo l’immane debito pubblico che già grava sui nostri figli, e su quelli meridionali ancor di più visto che la prospettiva di trovare un reddito è per loro più lontana e incerta?

Secondo un contatore messo in piedi dall’Istituto Bruno Leoni, il nostro debito sale al ritmo di 2.100 euro al secondo, ed è ormai superiore ai 2.253 miliardi di euro. Ciò nonostante la Stampa calcola che il programma dei Cinquestelle, se attuato, comporterà un aumento della spesa pubblica di circa 100 miliardi all’anno per almeno tre anni, da finanziare con aumento del deficit oltre il 3%. È dunque abbastanza scontato che le promesse pentastellate seducano chi produce di meno e lavora di meno, e dunque tendono a piacere di più al Mezzogiorno, nel quale sono purtroppo in tanti a credere che il finanziamento pubblico del sottosviluppo possa essere una soluzione, invece che un’ulteriore e forse definitiva marginalizzazione della nostra società.

L’esperienza storica ci dice, e nessuno di noi la conosce meglio di Macry, che l’uso del denaro pubblico al Mezzogiorno ha dannato ulteriormente i poveri impedendo uno sviluppo sano, e ha solo creato nuovi ceti parassitari; consegnando le leve di un potere discrezionale nelle mani di classi politiche e imprenditoriale predatorie. È dunque all’origine dei guai in cui ci troviamo. Invece che andar per stelle, cercando di trovare un accomodamento con la moda del momento, stavolta più che mai compito di élite e intellettuali dovrebbe perciò essere quello di avvertire i meridionali dei rischi di una nuova stagione di sperperi, che poi diventano automaticamente anche corruzione e malaffare, perché puoi scordarti lo slogan «onestà-onestà» quando il denaro dei contribuenti scorre a fiumi. Sarebbe solo l’ennesimo inganno, perpetrato stavolta senza neanche la dignità ideale e culturale che almeno avevano i protagonisti della Prima Repubblica.

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