Se l’Italia cambia marcia a Bruxelles MAURIZIO MOLINARI*

Cancellerie straniere, funzionari di Bruxelles e giornali europei si interrogano con insistenza sulle intenzioni del...

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Cancellerie straniere, funzionari di Bruxelles e giornali europei si interrogano con insistenza sulle intenzioni del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, protagonista di un approccio dell’Italia all’Unione Europea che segna una discontinuità con il passato.  

Dalla firma dei Trattati di Roma, prossimi ai 70 anni, il nostro Paese ha operato quasi sempre all’ombra dell’asse franco-tedesco, oscillando quanto necessario per contribuire al rafforzamento dell’Unione e tutelando al tempo stesso gli interessi nazionali.  

Ciò ha consentito all’Italia di essere protagonista della costruzione europea pur pagando il basso profilo con compromessi – come sul cambio lira-euro all’atto di nascita dell’Unione monetaria – di cui continuiamo a subire le conseguenze.  

Davanti al bivio se rinnovare o modificare tale approccio a Bruxelles, l’attuale inquilino di Palazzo Chigi ha scelto la seconda strada, puntando a ridefinire il ruolo dell’Italia: non più mediatore dietro le quinte per superare gli ostacoli con maratone negoziali in vertici a porte chiuse, ma protagonista di scelte di alto profilo, alla luce del sole, fino al punto di duellare senza perifrasi con chi – come la Germania di Angela Merkel – esercita di fatto una leadership riconosciuta a Bruxelles grazie al peso politico dei partiti popolari ed a quello economico di Berlino. 

Se c’è un’immagine che riassume la svolta di Renzi è nella descrizione che un veterano di Bruxelles fa di quanto avvenuto ad un recente incontro fra leader europei: «Il vostro premier era l’unico attorno al tavolo che sollevava obiezioni alla Germania, in maniera incalzante, facendo capire che la posizione di Berlino non doveva essere per forza accettata». Non si tratta di un’Italia anti-tedesca, come il vertice di venerdì nel Kanzleramt ha dimostrato, bensì della scelta strategica di trasformare Roma nel motore di un processo di integrazione comunitaria assai ambizioso.  

Sono due i pilastri di questo approccio italiano. Il primo è nella frase «chi vuole distruggere Schengen vuole distruggere l’Europa» che Renzi ha pronunciato a Ventotene, dove Altiero Spinelli scrisse il Manifesto del federalismo, parlando all’unisono con il collega francese Manuel Valls che pochi giorni prima, dai microfoni della Bbc, aveva osservato come «il crollo di Schengen porta al collasso del progetto europeo». 

Ciò che accomuna Valls e Renzi è la convinzione che per rilanciare la costruzione europea serva un approccio innovativo sul tema più spinoso: l’immigrazione. «Abbattendo le sue frontiere interne, l’Europa ha dimenticato che quelle esterne esistono ancora» ha detto Valls. «L’Europa deve tornare un grande sogno, non può essere un grigio dibattito tecnico» gli ha fatto eco Renzi. La convergenza è nella volontà di rafforzare le frontiere esterne dell’Unione con scelte diverse da quelle finora guidate da Berlino: norme comuni e più rigide sull’immigrazione extracomunitaria anziché il restringimento di Schengen con la reintroduzione temporanea dei controlli interni, più severità nei confronti dell’ambigua Turchia anziché consegnare ad Ankara miliardi di euro sperando nella sua benevola cooperazione sulla chiusura delle frontiere con la Siria, proteggersi dai terroristi jihadisti con maggiore integrazione fra sistemi di sicurezza. Ma non è tutto, perché ad accomunare Renzi e Valls è infatti anche l’offensiva sul lavoro: il premier francese è reduce dal superamento del tabù delle 35 ore settimanali e quello italiano parla di un’Europa chiamata a risolvere in fretta «la presenza di senza lavoro».  

Si tratta di segnali ma meritano attenzione perché mentre il presidente François Hollande continua ad aver un rapporto privilegiato con Angela Merkel – torneranno a vedersi a inizio mese – il premier Valls mostra sintonia di contenuti con Renzi. D’altra parte su un tema delicato come il rinnovo delle sanzioni alla Russia per la crisi in Ucraina – previsto in giugno – Italia e Francia ritengono che si debba tener conto del rispetto dell’Accordo di Minsk. Ovvero: non avverrà automaticamente. Se è vero che la crisi in Libia, con l’ipotesi di un intervento militare alleato contro Isis, resta un terreno di disaccordo fra Renzi e Hollande, le sintonie con Valls suggeriscono possibili novità in arrivo a Bruxelles delle quali anche la Germania di Merkel dovrà in qualche maniera prendere atto. 

*lastampa

 
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