Più teoria e meno prassi. Una riflessione sul Santo Natale

Più teoria e meno prassi. Una riflessione, forse non convenzionale, sul Santo Natale di Corrado Ocone Il...

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Più teoria e meno prassi. Una riflessione, forse non convenzionale, sul Santo Natale di Corrado Ocone

Il Natale è per i cristiani la festa più importante. Esso celebra il farsi uomo di Dio, il dogma dell’Incarnazione, ma lo celebra attraverso una nascita, quella di Cristo. E anche la Pasqua, che pure fa seguito all’evento della Passione, celebra una nascita a nuova vita, la Resurrezione. Si possono dare tante spiegazioni legittime, in primo luogo teologiche, di questa insistenza del cristianesimo sul tema della natività, ma non c’è dubbio che essa abbia dato la cifra a tutta la nostra civiltà occidentale. La quale è, fin dai suoi lontani esordi, un civiltà del cominciare, dell’inizio, del creare e trasformare il mondo in vista di fini. L’uomo imita così l’attività del primo Creatore, a cui immagine e somiglianza è stato fatto.

È un caso che ancora in una società che si ritiene a torto de-cristianizzata come l’odierna termini come “innovazione” o “creatività” abbiano una valenza positiva a prescindere? La civiltà greca, almeno quella classica e apollinea, sul cui tronco pure il cristianesimo si è inserito, era anche una civiltà del “theorhein”, del contemplare. La contemplazione nel nostro mondo ha finito invece per essere sempre più finalizzata all’agire, la ragion pratica anteposta alla ragion pura. È un processo che ha avuto il suo apice nella modernità, la quale, lungi dall’essere un affrancamento dal cristianesimo, ne è per questo verso una sorta di compimento. Ed è paradossale come proprio coloro che si siano buttati lancia in resta contro la religione, a cominciare dagli illuministi e da Marx, siano poi rimasti completamente, per questo aspetto e per altri, completamente all’interno del discorso dal cristianesimo inaugurato.

Quando Marx dice che i filosofi, che hanno fino ad ora interpretato il mondo, ora devono passare a trasformarlo, si riallaccia addirittura, lui ateo, a una tradizione che affonda le radici nel Vangelo cristiano. Gesù alle questioni di Verità non risponde se non in modo elusivo o tautologico (“io sono colui che sono”), anteponendo ad esse le virtù pratiche dell’Amore e della Carità. Certo, l’azione per l’azione potrebbe segnare la fine della nostra civiltà. E non c’è dubbio che il cristianesimo, come il liberalismo che ne è il figlio diretto, abbia in sé questo elemento autodissolutivo e persino nichilistico. Ancor più ne ha però vagheggiare decrescite più o meno felici o elogiare le nuove povertà. Meglio provare ad inserire elementi di puro e disinteressata contemplazione, di ricerca e conoscenza disinteressata, in un mondo di soli pragmata, e per di più sempre più labili e frammentati.

La teoria non è un inizio, ma una fine, perché, come diceva Hegel, sorge sul far della sera. Essa non può sostituire l’azione, né farsene guida, ma è certamente anche un modo per disintossicare l’animo e fortificare la propria personalità. In fin dei conti, seppure in modo mediato e traslato, serve anch’essa all’azione, alla vita, all’uomo. Così come lo conosciamo e come la tradizione cristiana ci impone di preservare. Buon Natale.

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