ONU contro Putin per azioni in Siria: l’Europa dica la sua

Per Stefano Stefanini, il fatto che il Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla guerra in Siria si sia trasformato...

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Per Stefano Stefanini, il fatto che il Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla guerra in Siria si sia trasformato in un processo a Vladimir Putin, si tratta di una spaccatura senza precedenti dalla fine della Guerra Fredda che impone all’Europa “di dire come la pensa”.

Ora l’Europa deve dire ciò che pensa 

La spaccatura fra Washington e Mosca che si sta consumando sulla Siria è senza precedenti dalla Guerra fredda.  

La Russia di Putin mostra di aver scelto Assad e la prova di forza sulle incertezze di un tortuoso percorso diplomatico per cui si era spesa fino all’ultimo l’amministrazione Obama. Allo schiaffo gli americani hanno dato ieri una risposta infuocata in Consiglio di Sicurezza, spalleggiati da Boris Johnson a Londra.

Difficile adesso tornare indietro: in Siria, la battaglia per Aleppo annuncia una nuova tragedia umanitaria che rischia di superare tutte quelle che, da più di cinque anni, stanno martoriando lo sventurato Paese; i rapporti fra Russia e America che precipitano vertiginosamente. Europei e italiani, nel chiuso dell’eurocentrismo in cui continuiamo a ragionare e muoverci, faticano a rendersi conto che uno scontro sul teatro mediorientale è più grave e più dirompente che non la crisi ucraina, annessione della Crimea compresa.

A maggior ragione in quanto la Siria poteva essere un terreno di collaborazione russo-americana, grazie al collante dello Stato Islamico e della lotta al terrorismo.

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Le accuse anglo-americane alla Russia sono pesanti. Sono, purtroppo, credibili. Forse le azioni militari intraprese dai russi e dalle forze di Assad non si configurano come «crimini di guerra». Ma mettono definitivamente la pietra tombale sopra tre cose: la tregua; il fragile filo negoziale; qualsiasi prospettiva di collaborazione russo-americana in Siria e contro Isis. Nel giro di una settimana Putin e Assad hanno capovolto lo scenario faticosamente costruito per mesi dalla paziente diplomazia di Staffan de Mistura e dal dialogo fra i due ministri degli Esteri, Kerry e Lavrov. Non a caso, su queste pagine, l’inviato speciale dell’Onu faceva appello al ritorno ai termini del cessate il fuoco concordato fra i due, come unica via d’uscita dalla guerra senza quartiere in Siria. Invano.

Putin ha optato per tener banco a Assad, di fatto smentendo il suo stesso ministro. Da diplomatico doc, Lavrov lo negherà ma di fatto egli si è trovato con l’erba tagliata sotto i piedi, e non è la prima volta. La decisione russa di andare a una prova di forza in Siria segna il fallimento del canale di dialogo bilaterale e dell’iniziativa diplomatica delle Nazioni Unite. Può darsi che quest’ultima non avrebbe comunque avuto successo per incapacità di controllare le disparate forze in campo e di trovare un minimo comun denominatore fra i loro contrastanti interessi. Mosca ha però tagliato la testa al toro senza dare «una chance alla pace».

Lo scenario è chiaro. Damasco, con l’appoggio dei russi, punta a riconquistare Aleppo. Non sarà il bagno di sangue a trattenere Assad. Di trattare se ne parlerà dopo, eventualmente (l’appetito vien mangiando, il regime non ha sottoscritto la rinuncia a re-imporre il potere su tutto il territorio); soprattutto, da una posizione di forza.

Resta l’interrogativo del perchè Putin abbia scelto la via di Damasco, dopo essersi avvicinato alla collaborazione americana, al punto di mettere in cantiere interventi militari congiunti contro Stato islamico (subordinati a un cessate in fuoco che tenesse in Siria). Per saperlo con certezza bisognerebbe leggere nella mente del Presidente russo, ma non è difficile immaginare motivazioni specularmente identiche a quelle dell’alleato siriano: trovarsi in una posizione di forza in Siria con la prossima amministrazione Usa.

Mancano sei settimane alle elezioni. Putin, mai «fan» di Obama, è giunto alla conclusione che non vale la pena di attraversare il ponte costruito da Kerry e Lavrov. Il suo interlocutore sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. Se sarà Hillary c’è da aspettarsi una linea più dura e meno propensa al dialogo di quella del Presidente uscente. Se sarà Trump cosa aspettarsi è un mistero, ma certo rispetto per la forza. Occorre pertanto presentarsi con le carte in regola. Terribile fatalità che a farne le spese siano i civili di Aleppo.

Al di là della tragedia siriana, l’Europa deve capire che sta assistendo a un punto di svolta nel quadro internazionale. L’ha afferrato al volo, con l’entusiasmo del novizio, Boris Johnson; per Londra sulla via di Brexit questa è un’ottima occasione di resuscitare la relazione privilegiata con gli Stati Uniti.

Gli altri europei, specie quelli che vogliono disperatamente il dialogo con Mosca, sono in una posizione difficile. Giusto ascoltare anche la campana russa. Ma, anche senza giungere ad eccessi verbali, di fronte ad una scelta russa di appoggiare Assad nella presa di Aleppo l’Europa non può cavarsela solo con vuoti appelli alla pace o al dialogo. Deve dire quello che pensa.

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lastampa/Ora l’Europa deve dire ciò che pensa STEFANO STEFANINI

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