Non solo di TAV si rischia. Ora c’è anche la “Belt and Road Initiative” con la Cina

L’ordine “facite ammuina” dopo che per il TAV permane si estende ora ad un altro...

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L’ordine “facite ammuina” dopo che per il TAV permane si estende ora ad un altro “buco”, quello che si sta creando nella sfida globale USA-CINA. Buco nel quale ci stanno trascinando i gialloverde con i Cinque Stelle che puntano su Pechino mentre la Casa Bianca chiede di non firmare la “Belt and Road Initiative” durante la visita del presidente Xi: “A rischio il vostro ruolo nella Nato, vi separate dal G7”, avvisano.

Il risentimento americano è apparso chiaro e diretto sul sito del Global Times, un appendice del Quotidiano del Popolo dove, nell’articolo, viene evidenziato che l’adesione di Roma alla Belt and Road Initiative (Bri) “influenzerà in qualche modo anche la politica Usa verso la Cina”, perchè l’Italia sarà il primo Paese del G7 a diventare partner Bri:

“Siamo molto preoccupati quando il presidente cinese Xi visiterà Roma e che l’Italia firmi la Belt and Road Initiative, perché legittimerebbe un progetto politico, inviando un messaggio sbagliato a Pechino”.

Poi rincarano la dose: L’avvicinamento italiano alla Cina metterebbe a rischio anche la collaborazione tra le aziende americane e italiane, e l’interoperatività della Nato.

Due alti funzionari dell’amministrazione Usa, secondo quanto riportato da La Stampa, hanno spiegato i timori della scelta italiana:

“L’Italia così si separa dal resto del G7, e consente alla Bri di penetrare in Europa nel momento sbagliato, perché lo sforzo cinese di condurre la sua diplomazia del debito non sta funzionando. Negli ultimi due anni abbiamo visto una preoccupante corrispondenza tra il finanziamento e lo sviluppo delle infrastrutture secondo il modello cinese, e i problemi emersi nei Paesi partecipanti, incluso l’aumento del debito insostenibile e l’inefficienza dei progetti. In molti casi, come Gibuti, Sri Lanka, Kenya, Pakistan, Venezuela, la Cina ha collateralizzato il debito impossessandosi di asset sovrani. Infine c’è stato anche un netto deleterio sulla trasparenza, la corruzione, e la governance economica ed istituzionale. L’Italia è un Paese del G7, uno degli alleati più stretti e di lunga data degli Usa. E un grande player economico e un brand globale. Firmando la Bri, darebbe il sostegno ufficiale a un approccio che sta avendo un impatto negativo sulla governance economica globale. Noi non abbiamo mai detto alle compagnie americane di non vendere i loro prodotti alla Bri, ma il timbro di approvazione di un governo legittimerebbe questo approccio allo sviluppo economico che è antitetico a quello del mercato e del settore privato”.

Questa la “nuova” situazione messa in moto dal nostro governo, ma tant’è. I nostri, ormai, sono diventati espertissimi in “buchi” e clausole per cui:

  • dopo quello creato nel bilancio (e che a breve comincerà già a crearci problemi con le clausole di salvaguardia da rispettare; ma come?),
  • dopo la fragile tregua sul TAV agguantata per i capelli grazie ad un arzicogolo, guarda caso di Conte, e quindi di un legale, per mezzo del quale i bandi di gara diventano semplici avvisi, e poi si vedrà tanto: domani è (sempre) un altro giorno, anche se, questa volta, permane la sensazione che forse no, non sarà un altro giorno ma resta sempre quello visto che comunque, Salvini ci tiene a chiosare che: “Per fermare i bandi occorre come minimo un atto del Consiglio dei ministri. Ma, come detto, i ministri della Lega un no ai bandi non lo potrebbe votare”

ora possiamo aggiungerci anche quello che rischia di essere scavato con la “Belt and Road Initiative” per la quale, gli USA, calcano ancora la mano ed arrivano ad affermare anche che:

“La firma di Bri avrebbe un impatto sui rapporti bilaterali. Abbiamo appena parlato di allineare meglio gli acquisti per la Difesa, ma la firma di Bri potrebbe limitare la nostra capacità di investire. Abbiamo tante joint venture con compagnie italiane, civili e militari, come Leonardo, beni finiti, e componenti che vengono da entrambe le sponde dell’Atlantico. Se i cinesi saranno presenti in queste aree, c’è il rischio che ciò  impedisca alle joint venture di seguitare nella proficua strada intrapresa, tipo l’ambizioso programma F-35”.

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