ELEZIONI: M5S-Pd sfida su imprese e famiglia

A poco più di un mese dal voto del 4 marzo, parte la sfida tra...

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A poco più di un mese dal voto del 4 marzo, parte la sfida tra Pd e M5S su imprese e famiglia. Renzi propone dieci miliardi di sgravi per i figli e pensioni di garanzia ai precari. Di Maio ribatte: con noi al governo via l’Irap alle aziende. «In comune c’è la speranza di trovare risorse con tagli alle spese superflue: ovvero ciò in cui finora sono poco riusciti sia i due schieramenti già cimentatisi con il governo nazionale, sia il M5s nei Comuni che guida.Meglio è individuare quali messaggi, e a chi, programmi così costruiti vogliono inviare» scrive Stefano Lepri osservando come i «partiti siano soprattutto intenti a conquistare l’elettorato anziano. Mentre le risorse per pagare le pensioni possono venire solo da un maggior numero di giovani al lavoro».

I giovani trascurati dai partiti

Se i mercati finanziari ritenessero credibili le promesse dei partiti in questa campagna elettorale, il ben noto «spread» sarebbe schizzato in alto. Invece resta abbastanza stabile, tanto più ora che il M5s rinuncia al referendum sull’euro. D’altra parte le scuse per gli impegni che non verranno mantenuti sono già pronte: dato che comunque vada è probabile che ci sia un governo di coalizione, si potrà dare la colpa ai compromessi necessari per formarlo.

Le cifre necessarie a realizzare i programmi fin qui presentati sono ingenti. Per quanto si può capire dai dettagli finora pervenuti, le promesse del centro-destra sono le più grandiose, seguite a ruota da quelle dei Cinque Stelle; il Pd sembra collocarsi più in basso.

In comune c’è la speranza di trovare risorse con tagli alle spese superflue: ovvero ciò in cui finora sono poco riusciti sia i due schieramenti già cimentatisi con il governo nazionale, sia il M5s nei Comuni che guida.Meglio è individuare quali messaggi, e a chi, programmi così costruiti vogliono inviare.

La «flat tax», cavallo di battaglia del centro-destra, è respinta da entrambi gli altri due schieramenti perché i suoi vantaggi sarebbero concentrati sui ricchi. Luigi Di Maio e i suoi propongono invece meno tasse per i ceti medi, che dalla «flat tax» sarebbero i meno favoriti; il Pd, nel programma che questo giornale illustra oggi, precisa sgravi a favore soprattutto dei redditi medio-bassi.

La famiglia e la piccola impresa sono punti di riferimento per tutti e tre i programmi, ovviamente con formule differenti. Ma quando sulle tasse i Cinque Stelle chiedono anche una totale abolizione sia di Equitalia sia degli «studi di settore» (destinati comunque ad essere sostituiti da altro metodo nel 2019) si intuisce la voglia di rivolgersi anche a chi tanto sincero con il fisco non è.

L’abolizione dell’Irap, tradizionale bandiera del centro-destra, è ora alzata anche dai grillini. Questa imposta ha perso il suo aspetto più discutibile con la deducibilità del costo del lavoro; porta 24 miliardi di gettito che in qualche modo occorrerà trovare. Dato che finanzia le Regioni con aliquote manovrabili, si può temere che la sua scomparsa tolga un freno alla spesa regionale.

Non è questo l’unico effetto paradossale che potrebbe essere ottenuto da una completa realizzazione delle promesse. Ad esempio, un «reddito di cittadinanza» potrebbe accrescere il numero dei disoccupati se sufficiente a tirare a campare senza lavorare (come succedeva negli Anni 70 o 80 in Stati dal welfare generoso, come Svezia e Nuova Zelanda).

Paradossale è poi che proprio il M5S che ha costruito la propria fortuna protestando contro il clientelismo dei vecchi partiti proponga una «banca pubblica di investimento» che allargherebbe enormemente i margini delle scelte clientelari della politica, riportandoci al passato pre-Tangentopoli (in cui le banche fallivano lo stesso). E come si fa ad affidare imponenti investimenti in innovazione proprio a un settore pubblico corroso da anni di malgoverno?

Il programma del Pd di cui oggi si ha notizia pare meno onnicomprensivo; è più arduo oltretutto promettere quando si è stati il principale partito di governo. Una novità è il paracadute futuro – un futuro distante – della «pensione minima di garanzia» per chi sta vivendo una vita di lavori precari o malpagati. Ma ancor più risalta quanto sia difficile oggi in Italia delineare soluzioni a breve termine per il problema davvero più grosso, che i giovani devono perlopiù adattarsi a impieghi precari e anche quando conquistano un posto fisso sono pagati, a parità di mansioni, meno dei loro genitori a suo tempo.

Comune a tutti e tre gli schieramenti è l’impegno di dare più competitività alle imprese, in modo che possano creare più lavoro. Una parte sostanziosa dei costi che gravano sulle imprese si chiama per l’appunto oneri previdenziali: ovvero il finanziamento del nostro sistema pensionistico. Tornare ad aumentare le spese per le pensioni, abolendo la legge Fornero, è invece ricetta sicura per scaricare in futuro nuovi oneri o sulle imprese o su tutti i contribuenti.

Sembra contar poco, questo, per partiti che paiono soprattutto intenti a conquistare l’elettorato anziano. Mentre le risorse per pagare le pensioni possono venire solo da un maggior numero di giovani al lavoro.

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