La vera scommessa per la crescita si gioca sui giovani

Fabio Pammolli, nel suo articolo d’opinione su la Stampa di oggi,  scrive che  la vera scommessa per...

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Fabio Pammolli, nel suo articolo d’opinione su la Stampa di oggi,  scrive che  la vera scommessa per la crescita però si gioca sui giovani e propone uno sgravio fiscale di 10 punti per i lavoratori under 25.

L’occasione di investire sui giovani 

Le tinte fosche dipinte nel G20 di Hangzou ci raccontano di una prospettiva di rallentamento duraturo dell’economia mondiale. La situazione internazionale è grave, ma non segna certo un fato ineluttabile per l’Italia, chiamata invece a perseguire con ancor maggiore determinazione l’obiettivo della crescita. Certamente, la crescita non si ottiene per decreto, e la coperta delle risorse è corta. Tuttavia, interventi per il lavoro dei giovani e per gli investimenti sono possibili, ed è tempo d’indicare le linee guida di un nuovo patto fiscale con i cittadini.

Il quadro mondiale non conforta: nuove instabilità sui mercati finanziari si sommano a tendenze demografiche secolari. Si ridimensionano le prospettive di crescita, si contrae la spesa per investimenti, rallentano domanda e commercio internazionale, rimane molto bassa l’inflazione. È un ristagno che viene dalle fondamenta del sistema economico e non è stato scalfito dallo sforzo senza precedenti delle banche centrali per mettere in circolo liquidità a basso costo e stimolare imprese e investitori.

In Europa, a essere più colpiti sono l’occupazione e i redditi medio-bassi, con una spirale in cui le preoccupazioni sul futuro rendono più acuta la disperazione per le difficoltà dell’oggi. Una situazione, questa, da considerare con attenzione, perché la politica vive dei consensi nel presente, mentre gli effetti delle riforme si vedono solo nel tempo. Servono allora interventi efficaci da subito, capaci di favorire la crescita negli anni a venire. Non vi è crescita senza innovazione, senza nuove opportunità d’investimento, senza nuovi attori.

Tre sono allora i cardini su cui lavorare: più lavoro per i giovani, più investimenti, meno tasse. Una riduzione permanente di 10 punti percentuali degli oneri pensionistici obbligatori per coloro che oggi hanno meno di 25 anni rafforzerebbe la competitività delle imprese e sarebbe sostenibile per i conti pubblici, visto che la gran parte di questi giovani inizierà a lavorare solo gradualmente, nei prossimi anni. Sarebbe questo un segnale potente, alle nuove generazioni e ai mercati. Dopo il Jobs Act, si comporrebbe un riassetto del mercato del lavoro di portata comparabile a quella della riforma Hartz durante il cancellierato di Gerhard Schröder, quando la Germania si trasformò da malato a locomotiva d’Europa.

Per gli investimenti, serve partire dalle priorità strategiche, con una nuova alleanza tra pubblico e privato. Le garanzie europee del Piano Juncker e il supporto tecnico di Bei (Banca europea per gli investimenti) e CdP (Cassa depositi e prestiti) possono farci uscire dalla lunga stagione dei finanziamenti a fondo perduto, consentendoci di mobilitare investitori istituzionali privati in grado d’impegnarsi nel lungo periodo, con ritorni relativamente contenuti: dai fondi pensione alle maggiori fondazioni bancarie. Trasparenza ed efficienza nella gestione potranno qualificare la spesa e assicurare tempi certi e celeri di esecuzione delle opere, scongiurando un’ulteriore deriva nominalistica e burocratica della legislazione sugli appalti e della normativa contro la corruzione.

Infine, va ridotta la pressione sui redditi, sapendo che sarà necessario assicurare un impatto neutrale o positivo sul gettito. Va aperto un cantiere di analisi e simulazioni che ci consegni, entro il 2017, una drastica semplificazione del sistema fiscale, attorno a due-tre scaglioni e al disboscamento della selva delle agevolazioni fiscali.

Le nuvole dell’economia mondiale richiedono di tenere a bada i vecchi custodi dell’ortodossia dell’austerity, ma anche le nuove sirene che evocano palingenesi tanto improvvisate quanto improbabili.

Il sentiero è stretto, ma sarebbe imperdonabile se a pagare il prezzo politico più alto fossero proprio le riforme per la crescita.

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