Renzi vuole forzare la mano sulla flessibilità e sembra pronto allo strappo con Bruxelles

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Renzi vuole forzare la mano sulla flessibilità e sembra pronto allo strappo con Bruxelles. Ma come spiega Marco Zatterin “qualunque sia l’esito” della trattativa “saranno bruscolini rispetto alle esigenze reali di stabilità del Paese”.

La tentazione dello strappo con l’Europa

Matteo Renzi ha degli «amici» a Bruxelles pronti ad ascoltare le richieste di flessibilità e rassegnati a sopportare i suoi strali. Nel circolo europeo si nascondono però anche parecchi aspiranti «sicari», gente che si chiede come mai Roma non sia già in procedura di deficit eccessivo e attende la legge di bilancio col colpo in canna riservato a chi si ritiene abbia già chiesto troppo. Dal confronto fra queste due forze divergenti dipende una parte rilevante dell’azione di governo, anche se tutto questo ruota intorno a magri «zerovirgola». E qualunque sia l’esito, saranno bruscolini rispetto alle esigenze reali di stabilità economica e politica necessarie per rimettere in moto davvero il Bel Paese.

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L’edificio numerico della nota di aggiornamento del Def è costruito su un terreno friabile. Il non aver detto che l’obiettivo del deficit 2017 è il 2,4% del Pil, bensì il 2% più lo 0,4 delle spese extra per sisma e migranti, è una mossa scaltra per avanzare con le fatiche di bilancio senza aver chiuso il negoziato con Bruxelles.

Entrambe le quote sono tuttavia da conquistare, la seconda più della prima. Su tutto pesa il debito mostruoso che verrà ridotto di un’anticchia nei prossimi dodici mesi, oltre naturalmente alla crescita che è fiacca dal secolo scorso. Il partito di chi è stufo o non si fida di Roma non smette di gonfiarsi.

I segnali di avvertimento sono stati numerosi. Eurogruppo e Commissione si sono pregiati di ripetere che la flessibilità è «una tantum» e che la sua somministrazione, per noi, può considerarsi conclusa, almeno per quanto riguarda la compensazione di riforme e investimenti. Una settimana fa il presidente Juncker ha ricordato che l’Italia ha beneficiato più di tutti della temperanza Ue, con maggiori margini di spesa per 19 miliardi. Senza contare, ma questo non lo ha detto, che in altre circostanze, e col debito che abbiamo, un cartellino rosso sarebbe stato automatico. Invece le valutazioni sono state scritte con la penna imbevuta di politica e senza volontà di colpire il governo Renzi, per non indebolirlo e aprire la strada a un non auspicato ribaltone. Lo stesso è successo per Spagna e Portogallo. Per ora.

Il messaggio è stato recepito. Pier Carlo Padoan, paziente negoziatore, ha annunciato che non avrebbe chiesto altra flessibilità. Passo politicamente saggio, compiuto mentre Renzi rimescolava a macchinetta le carte europee sperando che gli annunci portassero alla sostanza. A Ventotene ha ingenerato l’idea (mai confermata) di un direttorio a tre con Angela e François, a Maranello ha suggerito un dialogo forte (in realtà immutato) con la cancelliera. Visto che le cose non succedono solo a furia di ripeterle, a Bratislava l’asse franco-tedesco, per quanto indebolito, si è riconfermato l’unico con cui l’Europa sa far leva. Renzi, davanti al castello degli auspici che crollava, non ha potuto che passare alla fase successiva, le critiche e la sfida alle regole, lasciando a Padoan e ai suoi l’onere di trattare il trattabile con un Moscovici che risulta benevolo quanto provato.

Di qui a fine novembre la trattativa sarà serrata. Si può scommettere che otterremo tutto o quasi, forse con qualche vincolo che tranquillizzi nordici e falchi vari, anche i tedeschi che non vogliono affossare Renzi, ma devono pensare al voto fra un anno. All’indomani del referendum, la mattina del 5 dicembre, il premier dovrà valutare il suo futuro politico e ragionare anche sul fatto che l’aspra battaglia con Bruxelles avrà al massimo portato una decina scarsa di miliardi di maggiori margini di spesa. Pochi per le esigenze nazionali. Ancora meno per cambiare il gioco.

In caso di vittoria del «no», potrà anche pensare che il problema non è più suo. In caso di affermazione del «sì» potrebbe tentare lo strappo, dunque deviare anche di un punto e oltre, per avere soldi veri con cui provare a battere la crisi una volta per tutte. Finirebbe in procedura di deficit eccessivo (Edp), punizione dalle magre conseguenze visti i tassi bassi e gli acquisti di bond della Bce. Penserebbe che il consenso e la speranza di ripresa valgono bene uno scontro con Bruxelles. Possibile? Le fonti europee, anche quelle che tifano per l’Italia, assicurano che tutte le opzioni sono aperte e anche quest’ultima non è da escludere. Renzi sarebbe contrario, dicono a Roma. Ma da qui al 5 dicembre devono, e possono, succedere ancora molte cose.

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