Giorgio Napolitano scrive sull’Europa che sta ritrovando e rinnovando le sue ragioni e responsabilità

Nel suo commento, Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica, allarga l’orizzonte all’Europa di oggi che, di fronte...

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Nel suo commento, Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica, allarga l’orizzonte all’Europa di oggi che, di fronte «all’acuirsi o all’accendersi di molteplici tensioni nei rapporti bilaterali tra vecchie e nuove, medie e grandi potenze extra-europee» riesce a resistere mettendo «in piena luce il valore e il ruolo di una politica estera e di sicurezza comune».

La rinascita dell’Europa protagonista

Nel contesto di sconvolgenti mutamenti geopolitici e di inedito disordine mondiale che è emerso nel nostro tempo, e messa di fronte a sfide senza precedenti, l’Europa nata da uno storico progetto di integrazione e unità sta ritrovando e rinnovando le sue ragioni e la coscienza delle proprie responsabilità. Sono riapparsi particolarmente in piena luce il valore e il ruolo di una politica estera e di sicurezza comune europea: anche rispetto all’acuirsi o all’accendersi di molteplici tensioni nei rapporti bilaterali tra vecchie e nuove, medie e grandi potenze extra-europee. Ed egualmente sono tornati in primo piano il valore e il ruolo dell’unità europea, su tutti i piani, nel fronteggiare l’attacco concentrico all’Europa del terrorismo islamico, divenuto nemico primario di tutto il mondo civilizzato.

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In pari tempo, nello scontro con le offensive populiste e rispetto alle regressioni sul piano ideale e nel senso comune che esse hanno alimentato, l’Europa ha teso a sentirsi e farsi portatrice più che mai del suo patrimonio storico di ideali e di valori.

Eva sottolineato come essa abbia saputo raccogliere e far propria la grande tradizione di libertà, di identificazione con ogni sfera e causa di libertà, propria del mondo anglosassone e tempratasi nel fuoco della seconda guerra mondiale.

E’ un vero e proprio ripresentarsi dell’Europa sulla scena quel che innegabilmente si è prodotto e manifestato a partire dalla primavera del 60° anniversario dei Trattati di Roma e, tra l’altro, attraverso assai significative vicende elettorali, culminate nelle presidenziali francesi e nella vittoria di Emmanuel Macron.

Si è verificato l’apparente paradosso del rovesciamento dell’offensiva euro-scettica ed euro-distruttiva, e del rischio di un tendenziale fatale indebolimento dell’Europa costituito da diversi fatti e fenomeni. Tra questi, sul piano politico, la Brexit e l’elezione del presidente Trump negli Stati Uniti; e su un più ampio versante politico e sociale, la dilagante ondata di migranti e di profughi e la conseguente durissima crisi umanitaria. Anziché farsene travolgere, le più lungimiranti forze politiche e sociali europee hanno teso a rispondervi con una decisa riaffermazione di quel che nel presente e nel futuro rappresenta e può rappresentare per il mondo un’Europa sempre più unita e integrata.

In questo senso si sono manifestate dichiarazioni di volontà politica e coraggiose indicazioni di prospettiva, forse come non mai, in chiave di coerente rilancio e sviluppo del processo di integrazione. Dalla Cancelliera tedesca abbiamo sentito, in risposta alla sfida di Trump su versanti tra i più critici, l’orgoglioso appello: «Noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani… i tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono in una certa misura finiti». Il nuovo Presidente francese, appena eletto, non ha perduto occasione per ribadire che l’Europa ha da far leva sulla «forza di una sovranità non più nazionale ma pienamente europea». E c’è chi ha detto, guardando ai grandi assi del patrimonio storico-ideale europeo, che l’Europa è rimasta nel mondo d’oggi il luogo della razionalità.

In questo clima, il presidente della Commissione Juncker ha pronunciato nei giorni scorsi un discorso ricco di aperture su questioni centrali e scottanti. Come quella della solidarietà europea nel concepire e rendere praticabili vie legali per l’immigrazione di cui i paesi europei hanno bisogno, in particolare per i provenienti dall’Africa. E ciò nel quadro di una seria grande politica per lo sviluppo del continente africano secondo la vocazione originaria del progetto europeo. Significativo è stato in proposito il riconoscimento giunto da Juncker per le prove date dall’Italia e per la figura del presidente Gentiloni.

Inutile dire che su tutti i punti indicati da Juncker resta l’interrogativo del passaggio a puntualizzazioni indispensabili, a decisioni ed azioni conseguenti.

Naturalmente, quando il presidente della Commissione ha detto con felice espressione «Il vento è tornato a soffiare nelle vele d’Europa», si è riferito non secondariamente alla ripresa economica finalmente seguita alla lunga crisi scoppiata quasi dieci anni fa. Ripresa nemmeno pensabile senza l’apporto dell’euro e della Banca Centrale europea, capisaldi della nostra integrazione sovranazionale.

Non sto suggerendo, sia chiaro, un’immagine idilliaca dello stato attuale e un sicuro destino dell’Unione europea. La stessa continuità e forza della ripresa economica in Europa resta sottoposta a incognite, come quelle indicate da Romano Prodi in un recente articolo, illuminante per diversi importanti aspetti, tra i quali l’attuale esplosione del tasso di cambio tra euro e dollaro. Non c’è dubbio che si richiedano scelte attente e nuove, se non vere e proprie svolte, nel campo della politica economica e finanziaria delle istituzioni europee e degli Stati membri. E di ciò tutte le leadership nazionali debbono farsi finalmente consapevoli.

Ma quel che davvero segnerà il nostro destino comune è il superamento di persistenti, profonde ambiguità e incertezze sulla fisionomia dell’unità europea, che non può soltanto essere genericamente assunta come nostro dovere e obbiettivo dominante.

Le procedure di infrazione finalmente scattate, col sostegno della Corte europea di giustizia, nei confronti di governi nazionali dell’Ungheria e della Polonia che hanno tradito valori fondanti del progetto europeo e rotto ogni disciplina nell’Unione ora a 27, ci dicono con chiarezza l’essenziale. E cioè che è ineludibilmente sul tappeto la questione di cerchi o raggruppamenti distinti di Stati europei, ovvero una rifondazione istituzionale, non certo il perseverare in una fuorviante cooperazione intergovernativa. Se non vi si lavora, anche prospettando una revisione dei Trattati vigenti, non solo ogni ipotesi tra quelle enunciate di ulteriore integrazione sovranazionale – ad esempio del governo politico dell’eurozona e finanche di un suo bilancio comune con le relative complesse implicazioni – ma la stessa prospettiva di consolidamento della costruzione europea non si possono presentare come attendibili e onestamente veritiere.

Piaccia o no, questo è il guado cui stiamo giungendo, pur nel recente accumularsi di fatti positivi, tra i quali l’atteggiarsi unitario dell’Europa nel G7 di Taormina presieduto dall’Italia.

Anche ciascuno degli Stati membri dell’Unione, che più si caratterizzano per spirito europeista, ha da condurre un severo esame di quel che gli tocca chiarire e correggere a casa propria, spazzando via malintesi, egoismi e pretese nazionali, così come combattendo rigurgiti regressivi non ignorabili. Non assistiamo forse, e non solo in Italia, a un rigurgito di barbarica violenza contro le donne, quasi in odio allo storico processo di emancipazione di cui è stata teatro l’Europa?

Nessuno può sottovalutare, ovviamente, la riflessione che alla Germania tocca fare su se stessa, in quanto paese più grande e società più forte dell’Europa unita. E il campo è aperto anche a franche discussioni a tal proposito tra i governi e in seno alle istituzioni comuni. Ciò appare indispensabile anche perché la Germania svolga un ruolo ancor più lineare e persuasivo nel processo di costruzione europea. Questa in sostanza è la posta delle elezioni tedesche che si svolgeranno domenica.

Al tempo stesso è oggi possibile, e più che mai decisivo, il puntare su intense consultazioni e intese tra eguali che facciano perno su protagonisti essenziali come la Germania, l’Italia, la Francia. Il nostro paese è a ciò preparato, e già concorre, in una continuità europeista di lungo periodo, di cui ora è garante il presidente Mattarella.

Ma oggi sentiamo di poter guardare a un’Europa che diventi fulcro di un universo straordinario di valori storici e di peculiari ideali così come di potenzialità trascinanti pur in un mondo così travagliato e mutevole.

Dobbiamo farlo, spingendo certo lo sguardo verso un imprevedibile domani mondiale, ma senza anticipare e dare per fatale addirittura l’emarginazione e subordinazione dell’intero «emisfero settentrionale».

E questo possiamo farlo solo perché nei lontani Anni 50 se ne stava già compiendo la premessa principale. Essa consiste, non dimentichiamolo, nella nascita di un’autentica Germania europea attraverso una vera e propria mutazione generazionale e culturale di massa che l’ha condotta fuori dalle barbariche aberrazioni del nazismo, liberandola da ogni loro radice. Quel processo è stato portato fino alle estreme e sofferte conseguenze che la nuova leadership tedesca ha saputo trarne a Maastricht, rinunciando allo storico pilastro del marco e collocandosi, con senso del limite, in uno stringente contesto collettivo europeo e nell’obbiettivo di una vera e propria integrazione politica dell’Europa.

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