I sospetti sulla nuova pirateria dalla Libia

Gianni Riotta parla dei “sospetti sulla nuova pirateria” e aggiunge che “il piano per salvare...

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Gianni Riotta parla dei “sospetti sulla nuova pirateria” e aggiunge che “il piano per salvare i dannati del mare deve essere condiviso perché nessuno può illudersi di risolvere da solo una migrazione epocale”.

I sospetti sulla nuova pirateria

Il leggendario diplomatico inglese Brian Urquhart, già sottosegretario alle Nazioni Unite, ammoniva i giovani reporter: «Voi cercate nelle crisi internazionali buone o cattive soluzioni, mentre spesso si fatica giusto perché tra cattiva e pessima soluzione non prevalga, infine, la tragica». L’amaro realismo di Urquhart torna in mente davanti alla biblica migrazione che, da decenni ormai per crisi economica, guerre, cambio del clima, muove generazioni di africani verso l’Europa. L’idea, popolare tra ingenui e demagoghi, che esista una magica bacchetta, «Accoglieteli a braccia aperte!» o «Risbatteteli in mare!», è assurda, gli emigranti partiranno ancora per anni e occorre una serie costante di misure, geopolitiche, umanitarie, sociali, economiche, culturali, militari perché, limitando le sofferenze, non si cada in guerre aperte e genocidi.

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I numeri sono noti, e feroci, il mare delle nostre vacanze ha visto affogare nel 2016 oltre 5000 esseri umani, 170.000 si sono messi in viaggio dalla Libia all’Italia e il 2017 non sarà diverso. Servono riforme pazienti, lo sviluppo in Africa, tecnologie, la riduzione dei pingui dazi Ue che soffocano l’agricoltura subsahariana, contrasto a guerre e dittature avide.

E servono interventi immediati, un Frontex, la prima linea di intervento europeo con 250 milioni di budget e centinaia di addetti, più flessibile, una politica Ue scevra da dispute di valico (l’Austria minaccia ancora di chiudere il Brennero) e più cosciente di un sostegno non ipocrita all’Italia. Ciascuno deve fare il proprio dovere, invadersi a vicenda il campo diffonde caos, non ragione. Bene fa Papa Francesco a ripetere l’appello evangelico alla carità, ma un governo ha – purtroppo – l’obbligo di agire secondo «a Cesare quel che è di Cesare», e chi aprisse i confini spensierato, verrebbe travolto dalla popolazione infuriata. Le misure del premier Gentiloni e del ministro Minniti ricordano che anche la sicurezza è diritto civile e temere di perderlo genera odio. Polizia, Marina, Guardia costiera devono assicurare che l’ancestrale «legge del mare» salvi i naufraghi, ma non possono, sole, fronteggiare l’emergenza politica. Le organizzazioni umanitarie, ong, devono per sussidiarietà, intervenire laddove il pubblico non arriva, aggiungendo tenerezza e calore come sanno bene fare.

Illudersi di risolvere, ciascuno da sé, una migrazione epocale, seminerà zizzania, confusione, ulteriori dolori agli sfortunati, aizzando reazioni populiste prima, razziste poi. Frontex, come documentato dal «Financial Times» già da mesi, teme che ong, di fama o meno celebri ed efficienti, stiano concorrendo con una campagna «fai da te» di intervento sulle barcacce dei trafficanti libici ad aggravare il problema. Il racket spingerebbe in mare i disperati, puntando sul soccorso dei volontari, e ci sono accuse – contestate – di fondi esagerati, chiamate al cellulare non limpide, poca trasparenza. Una delle migliori organizzazioni, la storica «Save The Children», ha respinto gli addebiti tramite la dirigente Aurelie Ponthieu, altri gruppi sembrano ancora intenti alla campagna «fai da te» che Frontex, magistratura italiana e fonti Onu ritengono «non utile» perché non contrasta il racket, non affonda i barconi, non controlla infiltrazioni possibili di malavita e terrorismo, in alcuni casi pare istruisca gli immigrati a non collaborare con le autorità.

Salvare vite umane è precetto comune a fede, etica civile, legge. Ma questa non è stagione da Cavalieri Solitari, la tragedia in corso è troppo grande perché ci si possa arrogare di risolverla in proprio. Serve, oggi, un passo di ragione da parte di tutti, con il coordinamento chiaro di governi, militari, ong e organizzazioni umanitarie, che attribuisca, di intesa comune, a ciascuno un ruolo preciso. È la soluzione più razionale, più seria ed efficace, quella che salverà più vite. L’alternativa, «la pirateria a fin di bene», darà un effimero brivido di eroismo, ma intralciando – sia pur a fin di bene – i soccorsi nel Mediterraneo e diffondendo, boomerang velenoso, rancore e risentimento contro i dannati del mare.

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