Dopo il SI della Cassazione, l’Italicum attende il 4 ottobre

Dopo il SI della Cassazione al Referendum Costituzionale, Scalfari torna sul cosiddetto Italicum , la legge...

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Dopo il SI della Cassazione al Referendum Costituzionale, Scalfari torna sul cosiddetto Italicum , la legge elettorale già approvata e pronta ad entrare in uso quando ci saranno le elezioni politiche generali, per riesaminarlo ed anche per ricordare che non è che tutto ormai sia “certamente” Ok. “Manca ancora il giudizio della Corte costituzionale” ci ricorda Scalfari, e ci sarà il 4 ottobre. Meglio attendere quindi! Ma intanto, come invita Scalfari, rinfreschiamoci la memoria e facciamolo leggendo il suo editoriale di oggi che, come ogni domenica, sottopongo alla vostra lettura, analisi e riflessione e già che ci siamo, ci diamo anche un rinfrescatina sulle differenti competenze della Corte costituzionale e Corte di Cassazione:

  1. La Corte costituzionale (o Consulta) è l’organo che ha il potere di dichiarare l’illegittimità delle leggi volute dal Parlamento, di sindacare sulla legittimità delle leggi. e’ organo costituzionale che non riconosce altro potere proveniente da altri organi.
  2. La Corte di cassazione  si configura come giudice di legittimità, cioè competente a conoscere le sole violazioni di legge compiute dagli organi giurisdizionali di grado inferiore (quindi non si occupa della ricostruzione dei fatti) e quindi risolve i conflitti di competenza insorti fra i giudici ordinari e i conflitti di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice speciale. In questo senso la Corte di cassazione, si configura come organo di chiusura del sistema giudiziario a cui le disposizioni dell’ordinamento giudiziario affidano la soluzione delle questioni interpretative più controverse al fine di indirizzare l’attività giurisdizionale degli organi giudicanti e requirenti.

Ma leggiamo ora l’editoriale di Scalfari:

Italicum, il 4 ottobre la Corte costituzionale deciderà tra sì e no EUGENIO SCALFARI

La Cassazione2 ha approvato la legittimità del referendum, ma sembra invece non interessare più a nessuno cosa deciderà la Consulta, chiamata a rispondere ai quesiti del procuratore di Messina sulla nuova legge elettorale

Nessuno parla più di quanto accadrà il 4 ottobre prossimo; nel frattempo la Corte di Cassazione ha approvato la legittimità del referendum. Inni di gaudio e fine di ogni dubbio in proposito. Resta solo da fissare la data della consultazione popolare, i comitati in favore del Sì e del No sono al lavoro, Renzi e i suoi sostenitori sono in costante movimento e secondo alcuni sondaggi intravedono una netta vittoria e un’ampia affluenza di votanti, il 60 per cento degli aventi diritto in un referendum che del resto non prevede alcun quorum. Quel 4 ottobre però, e che cosa quel giorno accadrà, non interessa più a nessuno. Vorrei dunque, com’è mio dovere professionale, rinfrescare la memoria degli interessati: quel giorno, che non è lontano, la Corte Costituzionale risponderà al procuratore di Messina e ai quesiti che quel magistrato ha sottoposto con il consenso del tribunale della sua città. I quesiti sottoposti alla Corte riguardano la legittimità dell’Italicum, la legge elettorale ormai in vigore e pronta ad entrare in uso quando saranno indette le elezioni politiche.

Il tribunale di Messina ha presentato quali sono i suoi quesiti: e a quanto possiamo valutare sono del massimo interesse. Il primo riguarda i cosiddetti nominati da ciascuna lista cioè i capi delle liste nelle varie circoscrizioni. La seconda questione riguarda le preferenze le quali apparentemente vengono propagandate dagli interessati come un segno evidente di libertà.

Mentre nella realtà dei fatti le preferenze vengono emesse su indicazione dei capi locali che rispondono quasi sempre a lobby e clientele di vario genere; in certi casi perfino mafiose. Naturalmente questi capi locali offrono il loro pieno appoggio alla lista nazionale rivendicando tuttavia favori leciti e spesso illeciti. Questo avviene ed è sempre avvenuto anche in passato, tant’è che le preferenze sono sempre state guardate con estremo sospetto ma sempre praticate per la loro utilità. Gli esperti elettorali hanno considerato anche che la Corte Costituzionale dovrà occuparsi delle soglie minime oltre di quella massima che raffigura la vittoria e quindi il premio a chi la consegue. Si tratta del 40 per cento ma la possibilità che non venga raggiunto è notevole e in questo caso il ballottaggio avviene probabilmente con una lista maggioritaria che può oscillare tra il 35 e il 37 per cento ed una lista che viene subito dopo che può oscillare tra il 22 e il 25. Noi viviamo non più in un sistema bipolare come è stato per molto tempo e lo è in quasi tutti i più importanti Paesi democratici, bensì in un sistema tripolare nel quale avviene inevitabilmente quello che è avvenuto nelle amministrative recenti svoltesi a Torino dove, essendo tre i partiti che concorrono alle elezioni è normalmente il terzo a decidere chi sarà il vincitore nel senso che i suoi voti, secondo le sue convenienze politiche, si spostano a favore di uno dei due che supera l’altro che normalmente avrebbe vinto. Ho citato il caso di Torino perché parlante ed è la dimostrazione che il sistema tripolare altera fortemente la democrazia.

La Corte Costituzionale, per evitare questa democrazia fortemente deformata e poco rispondente al parere degli elettori, sta anche esaminando alcune diverse opzioni ma rivolte sempre a superare questa deformazione del sistema. La prima opzione sarebbe quella di stabilire la soglia minima per potere partecipare al ballottaggio la quale, se le previsioni vedono la lista più importante intorno al 35-37 per cento, vedrà la soglia minima di chi può concorrere all’eventuale ballottaggio tra il 25 e il 27 per cento. Tutte le altre sono escluse. Naturalmente la questione può anche essere risolta in altro modo è cioè abbassando dal 40 ad una cifra minore lo scattare del premio a chi ha la maggioranza. Invece del 40 potrebbe essere abbassata al 35, se non addirittura al 30 per cento, è evidente che in quel caso anche le soglie minime degli eventuali concorrenti verranno abbassate proporzionalmente intorno al 15-20.

Queste sono varie ipotesi senza escluderne ancora un’altra e cioè che la Corte Costituzionale, dopo avere soddisfatto i quesiti che le sono sottoposti dal ricorrente, scopra altri difetti di legittimità nell’Italicum. Può non accadere ma può anche accadere ma in questo caso è impossibile prevedere di che cosa si tratterebbe.

La data del 4 ottobre va dunque ricordata e seguita con la massima attenzione perché può modificare radicalmente l’Italicum.

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Ammettiamo dunque che la Corte invalidi in vario modo la legge elettorale. Il Parlamento dovrà cambiarla. Quale Parlamento? Quello attualmente esistente o quello modificato dal referendum e quindi non più bicamerale perfetto ma monocamerale? La risposta in questo caso dipende dalla vittoria dei Sì o dei No. I sondaggi parlano di un referendum con larga affluenza, circa il 60 per cento, e parlano anche di una molto probabile vittoria dei Sì. Naturalmente esistono sondaggi opposti e cioè un’affluenza meno elevata, tanto più che il referendum costituzionale non prevede alcun quorum, e una prevalenza dei No. Sono ipotesi molto diverse l’una dall’altra sulle quali al momento non è possibile pronunciare un qualsiasi giudizio. Ma qui subentra un’altra questione che, dico la verità, mi ha alquanto stupito. Si tratta di un articolo a noi inviato e pubblicato tre giorni fa di Stefano Parisi. Ha concorso alla carica di sindaco di Milano ma è stato battuto con un 4 per cento di distacco da Giuseppe Sala. Parisi correva per il centrodestra e Sala per il centrosinistra. Negli scorsi giorni, con una indicazione assolutamente a sorpresa, Silvio Berlusconi ha affidato a Stefano Parisi la guida del movimento di centrodestra che non ha ancora alcun preciso nome ma che Berlusconi rivendica come propria invenzione. Non è più Forza Italia e l’incaricato a guidarla è per l’appunto Parisi il quale sostiene che si tratta di un movimento di centrodestra moderato. Dopo i primi assaggi e contatti l’interessato ha lanciato un’idea del tutto inattesa. Ha detto che i moderati voteranno No al referendum del prossimo autunno e in questo modo contribuiranno alla sconfitta renziana ma non si fermeranno lì, anzi il nocciolo della proposta è un altro. Una volta eliminato con la vittoria dei No il referendum la proposta di Parisi è una legge che chieda la formazione di un’Assemblea Costituente. Non deve riscrivere la Costituzione ma deve semplicemente cambiarne alcuni punti lasciando il resto totalmente invariato. I punti da cambiare sarebbero alcuni mutamenti dell’attuale Stato riguardanti soprattutto i poteri locali: le Regioni, le Province, i Comuni ed altre pubbliche associazioni che si rifanno alla sovranità dello Stato. Le intenzioni sono quelle di attribuire alle predette associazioni una loro definita sovranità su alcune materie ed anche un allargamento delle loro sfere spaziali di competenza e quindi un loro minore numero: Regioni più vaste di quelle attuali e idem Province e Comuni metropolitani. Questo comporta maggiori poteri dal punto di vista spaziale ma anche maggiore peso delle loro decisioni. Insomma una tendenza federale che non modifica la forza politica dello Stato il quale conserva la tutela degli interessi generali del Paese. Naturalmente Parisi fa capire che in questa Assemblea Costituente, che ha finalità limitate ma importanti, il centrodestra moderato avrà come interlocutore principale il centrosinistra moderato e quindi il Pd. Grillo potrebbe in qualche modo appoggiarsi all’una o all’altra di queste formazioni ma qualora questo avvenisse diventerebbe sempre di più un movimento con una presenza locale che varia da luogo a luogo e quindi tende in prospettiva a spegnersi. Il risultato di questa situazione è che ritorni un sistema bipolare ai fianchi del quale, esclusi da ogni alleanza possibile, esisterebbero partiti populisti, antieuropei, localizzati in certe zone e quindi da escludere da ogni contatto.

Io ho interpretato in questo modo ciò che Parisi ha scritto al nostro giornale. Può anche darsi che abbia sbagliato o abbia esagerato alcuni punti di vista espressi da Parisi con qualche ambiguità. In tal caso ce lo dirà oppure confermerà parzialmente. Ma comunque attendiamo questa risposta.

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Si dirà che fin qui ci siamo molto occupati di un tema che per l’Italia è molto importante ma per l’Europa e per l’Italia in Europa conta poco più di zero. Non nego affatto che l’Europa è al centro di problemi di tale importanza che ciò che accade in Italia sulle maggioranze, minoranze, tutela d’una democrazia reale o fittizia, è molto importante, ma quelli dell’Europa lo sovrastano totalmente. Abbiamo già parlato nelle settimane scorse della guerra all’Is, degli scontri a Sirte e su tutta la costiera libica, della Turchia dopo il golpe fallito e Erdogan diventato sultano ottomano con la voglia di ricostruire un impero, di quello che sta accadendo in tutto il Medio Oriente, ad Aleppo, a Putin e alla sua alleanza con Erdogan, del tutto inattesa. E infine alla necessità di distruggere il comando supremo di Raqqa avvalendosi di mezzi aeronavali e di eserciti per procura, tipo alcune formazioni della Siria e i curdi ed altre formazioni militari.

Abbiamo parlato molto a lungo di queste questioni per cui oggi è bene concentrarsi su quanto di nuovo in questi ultimi dieci giorni è avvenuto in Europa.

Segnalo da questo punto di vista una proposta che mi è parsa di grande interesse e formulata in un articolo che ci hanno inviato il nostro ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e la ministra della Difesa Roberta Pinotti. L’articolo propone di formare una nuova struttura militare che veda riuniti insieme alcuni degli Stati fondatori dell’Europa e che abbia compiti completamente diversi da quelli della Nato; non contrari ma diversi, tra l’altro della Nato fa parte da tempo la Turchia di Erdogan e questa non è proprio una raccomandazione.

La proposta dei due nostri ministri è di formare appunto una struttura militare con compiti ben definiti ma con contingenti realmente mobilitati e inquadrati. I fondi di finanziamento necessari dovrebbero venire dalle risorse che gli Stati aderenti a questa struttura hanno nel bilancio europeo e da altre eventuali fonti debitamente autorizzate. Questa formazione militare potrebbe e dovrebbe intervenire, decidendo di propria iniziativa ma avendo ricevuto il benestare dell’Unione europea, su settori estremamente delicati che possono trovarsi su vari scacchieri geopolitici: soprattutto in Medio Oriente, ma anche sulla costiera libica o sui Paesi del centro Africa, negli attacchi allo stato maggiore dell’Is. La formazione dovrebbe disporre, sia pure con i corrispettivi limitati ma molto preparati ed efficienti, di forze aeree e navali. Insomma una struttura di truppe speciali, che si muove in nome dell’Europa ma senza impegnare direttamente le nazioni europee che non aderiscono a questo sistema il quale tuttavia è aperto a nuove adesioni, sempre di Paesi che fanno parte del nostro continente.

Non sappiamo fino a che punto la proposta dei due ministri sia stata concordata con i governi dei vari Paesi interessati ma apre comunque un dibattito che va portato avanti rapidamente perché una formazione del genere è in questa fase della congiuntura internazionale che ha un senso e anzi una necessità di esistere.

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Abbiamo finora toccato temi politici ma proprio negli ultimi giorni è venuto fuori un tema economico inatteso o meglio di cui gli interessati erano già da alcuni giorni al corrente ma la comunicazione pubblica non era stata data anche per impedire speculazioni e movimenti di capitali prima ancora che le autorità competenti fossero preparate: si tratta dell’andamento dell’economia e in particolare del Pil. Le notizie riguardano un mese sull’altro, un trimestre sull’altro, un anno sull’altro. Come punto di riferimento globale si parte dal 2014 e si arriva a previsioni che arrivano al 2017; ma il centro del problema si colloca in questi giorni e in queste settimane.

Il tema è mancanza di progresso, economie ferme, fermo il Pil e per quanto riguarda l’Italia fermo il deficit e in netto peggioramento l’ammontare del debito. All’interno del governo il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia Padoan vedono la questione in modo abbastanza diverso uno dall’altro. Padoan pensa che per l’economia italiana, rispettando le regole europee sia pure a volte piuttosto ingombranti e improprie per un Paese come il nostro, ci sarà nel 2017 quella flessibilità aggiuntiva di cui abbiamo bisogno. Renzi non è contrario a questa visione ma ritiene indispensabile affiancarla con una visione nettamente diversa che chiamerei neo-keynesiana, nel senso che punta deliberatamente su una struttura di investimenti pubblici attraverso una politica debitoria: si anticipano le risorse da investire rispetto alle disponibilità, cioè si rompe il fiscal compact nella fiducia che dopo un paio d’anni al massimo questi investimenti restituiranno sotto forma di maggiori risorse che consentiranno di tornare ad un equilibrio accettabile. Renzi ha anche precisato alcuni aspetti di questa politica: diminuzione delle imposte soprattutto per i redditi medio-bassi, scaricando il maggior peso sui redditi medio-alti. Si tratta quindi di una politica sociale che ha caratteristiche tipiche del neo-keynesismo e di una sinistra sociale. Naturalmente a questo tipo di interventi si abbina anche un aumento della produttività sia da parte dei datori di lavoro e sia da parte dei lavoratori.

Non sappiamo fino a che punto Renzi reggerà a questa strategia. La cosa certa però è che per altre ragioni e in altri campi la presenza di Renzi è ritenuta molto importante da Germania e Francia. Quello che in altre occasioni abbiamo chiamato triumvirato, che avrebbe sostituito il direttorio europeo formato ormai da decenni da Francia e Germania, include ormai anche l’Italia per ragioni geopolitiche e strettamente connesse anche al tema delle immigrazioni e di quanto è necessario fare per rallentarle o meglio ancora impedirle. Parliamo delle immigrazioni che vengono dal mare, sia dalle coste africane sia da quelle balcaniche.

Non ho preso in considerazione questa settimana, in alcun modo, il tema della sinistra del Pd la quale ha l’aria di essere del tutto disinteressata a questi problemi ma interessata invece alla struttura del partito di cui fa parte.

Non nego affatto che anche questo sia un problema importante, anche se ritengo che la sinistra di un partito di maggioranza nel nostro Paese dovrebbe avere idee chiare su tutti gli altri temi che abbiamo fin qui toccato. Forse questi argomenti interessano la sinistra dem ma non ne parlano. Parlano invece di come votare al referendum, di come cambiare la legge elettorale e anche, sia pure di struscio, come eventualmente sostituire Renzi dalla segreteria del partito. È un tema certamente non trascurabile ma almeno per ora di scarsa attualità. Se Renzi cadrà, non sarà come segretario ma come presidente del Consiglio se i No avranno la meglio al referendum.

Può darsi che io sbagli ma ritengo questa ipotesi non dirò probabile ma molto possibile. Lo vedremo a novembre.

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vivicentro/Dopo il SI della Cassazione, l’Italicum attende il 4 ottobre STANISLAO BARRETTA
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