Pressing di Renzi sulla manovra

La linea di Matteo Renzi, azionista numero uno del governo, è niente concessioni all’Unione europea...

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La linea di Matteo Renzi, azionista numero uno del governo, è niente concessioni all’Unione europea in vista della manovra. Si apre così lo scontro tra l’ex premier, Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan. È infatti in corso una trattativa tra Roma e Bruxelles per ottenere dieci miliardi di scontro sull’intervento correttivo ma la Commissione non cede sulle riforme. Nell’editoriale di prima pagina Fabio Pammolli si concentra sul futuro del lavoro e sulla necessità di un ragionamento ulteriore, oltre al Jobs Act.

Nuovi lavori con regole d’altri tempi

Il Jobs Act ha davvero trasformato le regole sul lavoro? La discontinuità, certo, c’è stata. Ma una riflessione è necessaria. A imporla, sono cambiamenti epocali nella tecnologia e nella demografia.

La narrativa e il confronto si sono polarizzati sulla disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Si è rimarcata la distinzione tra lavoro dipendente e lavoro indipendente, sono stati allentati i limiti dell’obbligo di reintegrazione in caso di licenziamento per i nuovi dipendenti, si è dato un giro di vite ai contratti di lavoro parasubordinato, i vecchi contratti a progetto.

Un disegno coerente, senza alcun dubbio: il contratto di lavoro dipendente da un lato, le partite Iva dall’altro, i voucher o il lavoro a chiamata a svolgere una funzione di chiusura del mercato, a ricomprendere le prestazioni di minore entità.

Tutto chiaro, con un problema. Dispettoso, il cambiamento disturba i sonni del regolatore benevolo, incrina la tenuta dei suoi disegni razionali, introduce granelli di sabbia negli ingranaggi.

La riduzione dei costi di scambio ed elaborazione delle informazioni continuerà a trasformare l’industria e i servizi. Già oggi, l’Internet delle cose e le nuove piattaforme informatiche, da quelle più note come Uber e Airbnb a quelle meno visibili al grande pubblico come GrabCad nel design industriale, ridefiniscono le funzioni e le allontanano dai modelli di organizzazione gerarchica del lavoro che hanno segnato le relazioni con il capitale in tutto il Novecento.

Rapidamente, si è diffusa un’ampia varietà di rapporti e di percorsi di carriera non continuativi e non esclusivi, plasmati attorno alle competenze, all’iniziativa e alle capacità degli individui.

Siamo entrati in un’era di «padroncini» 4.0? Di certo, monogamia, carriere interne, dominanza del lavoro dipendente, saranno sempre meno «la norma».

Per i giovani, più direttamente toccati da queste trasformazioni, vi è un ulteriore punto critico, posizionato nel bel mezzo dello snodo tra lavoro e welfare.

Con quale coerenza possiamo chiedere ai lavoratori di domani di esser pronti a sfoderare responsabilità e iniziativa e, allo stesso tempo, imporre loro un contratto dominante e un welfare incentrato sulla contribuzione obbligatoria al pilastro pensionistico pubblico, a mamma Inps? Due vincoli, quello del contratto e quello della pensione pubblica, che promettono sicurezza ma, nei fatti, ritardano l’ingresso al lavoro e restringono le libertà di scelta.

Vista da questa prospettiva, oltre che per l’insostenibilità di un sistema pensionistico finanziato per intero a ripartizione, la riduzione del cuneo contributivo ha un senso solo se può essere per sempre, se può accompagnare tutta la vita lavorativa e tutte le forme contrattuali.

Perché possa produrre un risultato, la riduzione deve essere di almeno 10 punti, e valere al di sotto di una certa soglia anagrafica, ad esempio per tutti coloro che oggi hanno meno di 23 anni, indipendentemente dalla natura dei rapporti di lavoro.

Vi sarebbe finalmente la possibilità, non solo per i dirigenti e i professionisti, di costruirsi, con il lavoro, un fondo pensione capace d’integrare un assegno che, da solo, sarebbe destinato a riservare sorprese amare.

Accanto alle tutele, va affermato il binomio tra responsabilità e libertà di scelta degli individui, nella scrittura dei contratti e nella gestione del risparmio.

Diversamente, rimarremo prigionieri dell’attrazione fatale tra due fronti che, divisi dall’ideologia, condividono l’illusione che, in fondo, sarà la realtà a doversi adattare ai mirabili punti di equilibrio raggiunti dalla concertazione.

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