Migranti: Milano è sull’orlo del collasso

Il crescente arrivo di migranti a Milano spinge il sindaco Giuseppe Sala a ipotizzare il...

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Il crescente arrivo di migranti a Milano spinge il sindaco Giuseppe Sala a ipotizzare il ricorso a tende, caserme o a sfruttare l’area costruita per l’Expo al fine di ospitarli. Il presidente della Regione, Maroni, si oppone ad “aiutare i clandestini” e la tensione cresce con il governo Renzi. Come riassume Orsina nell’editoriale: “La metropoli è la vetrina d’Italia ma si trova alle soglie dell’emergenza” pubblicato su la Stampa e che vi proponiamo:

  • Una metropoli alle soglie dell’emergenza GIOVANNI ORSINA

Era solo questione di tempo perché il nodo migratorio tornasse al centro delle polemiche politiche. C’è da sorprendersi semmai che si sia dovuto aspettare fin quasi a metà agosto. Ed è politicamente importante, poi, che la crisi sia scoppiata a Milano.

I termini del problema sono ormai noti, ma forse giova metterli ancora una volta in fila. In un’Europa nella quale Merkel ha perduto dodici punti di gradimento in un mese per la sua politica sui rifugiati; si rivoterà per il Capo dello Stato austriaco, dando una nuova chance al candidato della Fpö; e nel 2017 i francesi eleggeranno il Presidente all’ombra di Madame Le Pen, il «gioco» dell’estate non può che esser quello di scaricare altrove il peso politico della questione migratoria. Le frontiere alpine, di conseguenza, sono state sigillate, e da che l’anno scorso solo un migrante su venti che approdavano in Italia intendeva restarci, quest’anno siamo a un migrante su due.

La pressione dall’alto – l’Europa – si combina a una pressione dal basso: non tutti i Comuni italiani sono ugualmente desiderosi di accogliere, né attrezzati per farlo. Né sono ugualmente desiderati dai migranti, i quali – nella speranza di riuscire a passare le frontiere, o di trovare condizioni migliori – tendono a spostarsi verso il Nord Italia.

Le due pressioni, la locale e la continentale, collaborano nel deviare sul governo il peso politico della questione. Con buona pace, sia notato per inciso, di chi qualche anno fa prevedeva che lo Stato nazionale fosse destinato a scomparire, fagocitato dalle nuove entità politiche sovranazionali e regionali.

Che il grido d’allarme sia venuto da Milano, si diceva prima, in termini politici è tutt’altro che irrilevante. Il capoluogo lombardo, infatti, è la vetrina di quell’Italia capace di «svoltare» e «ripartire» che è da sempre protagonista della retorica renziana. La città dell’Expo. La città che soltanto due mesi fa, restando nelle mani del centro sinistra, ha evitato al governo una Caporetto elettorale. E chi mai metterebbe in vetrina una tendopoli di rifugiati? Tanto più che Milano è anche la metropoli in cui il centro destra unito ha mostrato di poter essere competitivo, oltre che il capoluogo d’una regione a guida leghista.

Non è un caso, allora, che dopo aver lanciato il grido d’allarme il sindaco meneghino Beppe Sala si sia affrettato ad aggiungere che la situazione resta comunque sotto controllo. L’allarme era, per così dire, di natura amministrativa. La correzione, invece, aveva un valore politico. Le correzioni politiche, d’altra parte, possono coprire temporaneamente i problemi, ma non li risolvono. Quel che bisognerà capire nei prossimi giorni, allora, è se la crisi milanese resterà un episodio passeggero, o se la questione dei migranti ci accompagnerà lungo tutta la seconda metà d’agosto, eventualmente guadagnando visibilità mediatica anche per la scarsità di altri avvenimenti di rilevo.

Dall’«ordalia politica» del referendum costituzionale ci separano più di tre mesi, durante i quali potrà succedere di tutto. È sempre più evidente, d’altra parte, che il rapporto fra governo e voto referendario si è modificato. La speranza che Renzi sembrava nutrire all’inizio, che un governo forte e di successo potesse far da «traino» per il sì, pare ormai tramontata. Adesso, semmai, la speranza è che sia il sì a far da «traino» al governo. Con tutti i rischi del caso. Ecco: l’aggravarsi della crisi migratoria potrebbe, come effetto politico, rafforzare ulteriormente questa dinamica. Trasformando il referendum in un «giudizio di Dio» più ancora di quanto già non sia.

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foto DAVIDE SALERNO, MILANO

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