La mia storia di fuori corso da 43 anni ROCCO MOLITERNI *

La mia storia di fuori corso da 43 anni ROCCO MOLITERNI * ROCCO MOLITERNI –...

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La mia storia di fuori corso da 43 anni ROCCO MOLITERNI *

ROCCO MOLITERNI – Lo ammetto, non sono uno studente modello. Mi sono iscritto al corso di laurea in ingegneria mineraria del Politecnico di Torino nell’anno accademico 1972/1973 e non mi sono ancora laureato. In Italia le miniere non esistono più e neppure quel corso di laurea, ma io continuo a figurare fra gli iscritti all’ateneo torinese. Credo di essere uno dei fuoricorso più longevi dell’intero pianeta universitario italiano. Così ho preso come un fatto personale l’iniziativa del Poli (a Torino lo chiamiamo familiarmente così) di dare una stretta sui fuoricorso con l’intento di ridurne il numero se non di eliminarli.

Perché mai? Io ho continuato a pagare le tasse e quindi non vedo perché dovrebbero eliminarmi. Anzi proprio per i miei contributi economici un tempo vagheggiavo che, come succede nelle cattedrali, in qualche aula o laboratorio mettessero una targhetta con su scritto «tecnigrafi (strumenti forse sconosciuti agli studenti di oggi: servivano per disegnare quando non c’erano ancora i computer) acquistati grazie alle tasse versate da Rocco Moliterni». Non ho mai fatto i conti esatti ma con 43 anni di versamenti (un tempo due o trecentomila lire l’anno, ora minimo 1400 euro se ho ben interpretato il sito della segreteria e ho alcuni anni arretrati da pagare) un po’ di tecnigrafi o di computer si rimediano.

Per altro in tutti questi anni ho visto più volte considerare i fuoricorso o gli studenti lavoratori ora figure da agevolare ora da eliminare. Io non mi sono mai particolarmente preoccupato, prima che scadessero i sette anni canonici per la decadenza sostenevo un esame o cambiavo piano di studi. L’ultimo esame l’ho «dato» quattro anni fa e ora non dovrei più correre pericoli, perché per legge (statale) una volta che hai «dato» tutti gli esami puoi laurearti quando vuoi. «E allora cosa aspetti a farlo?» mi chiedono tutti. Certe decisioni vanno prese con cautela e poi devo ancora finire la tesi. La prima volta che ne ho depositato il titolo fu nel 1980. Allora si trattava di un lavoro sperimentale finanziato dalla Comunità Europea sulla possibilità di immagazzinare i gas provenienti dall’Algeria nelle miniere di sale siciliane. Ricordo un viaggio bellissimo nell’isola (non c’ero mai stato) in un luglio assolato, con l’arrivo a Palermo dal mare, perché agli studenti, a differenza dei docenti, la facoltà non pagava l’aereo, ma la nave sì. L’ultimo titolo l’ho depositato quattro anni fa, c’entra ancora il gas, ma questa volta si tratta di ripercorrerne l’immagine nelle pubblicità uscite sulla «Stampa» (en passant penso di cambiarlo ancora perché oggi mi sembra «più utile per la mia formazione» studiare gli archivi del Museo di fotografia industriale di Bologna).

Quando mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria questa era un universo plumbeo e maschile al 99 per cento. Le ragazze al massimo aspettavano fuori dei cancelli (l’ingresso del Poli ricorda un po’ quello di una fabbrica) l’uscita degli studenti dall’immancabile valigetta 24 ore, con la calcolatrice e i fogli di carta millimetrata. Oggi faccio fatica a capire se ci sono più ragazzi o più ragazze e sembra di essere, per i mille colori, nei corridoi di un liceo. Eppure la mia fu una partenza sprint: presa la maturità classica mi iscrissi a Scienze Politiche, dopo tre mesi decisi che con quegli studi non avrei mai trovato lavoro e passai a ingegneria. Allora i corsi erano organizzati in modo inverso a oggi: c’era prima un biennio comune a tutti gli indirizzi e poi il triennio di specializzazione (da ingegneria aeronautica a mineraria). Se non davi sette esami entro il biennio finivi fuoricorso. Ebbene io li diedi e ricordo ancora lo sconcerto e la sorpresa del docente di Analisi II che dovendo scrivermi il voto sul mitico libretto blu (lo conservo come una reliquia in un cassetto, anche se non è quello del ’72 perché in una delle tante reiscrizioni me lo sostituirono) si accorse che non avevo ancora «passato» Analisi I. Poi nel triennio la passione per una fanciulla prima e per la politica e il giornalismo poi mi fecero perdere il ritmo. Al quart’anno non diedi Macchine esame allora fondamentale e di lì iniziò la catastrofe (o quasi). In compenso ricordo l’emozione di notti passate a disegnare un capannone industriale per l’esame di Tecnica delle costruzioni (che non sostenni mai) o uno svincolo autostradale per Costruzioni di strade, ferrovie ed aeroporti (presi 28). Ebbi il presagio che mi sarei occupato d’arte nella mia vita, superando (altro 28) l’esame di Arte Mineraria. Perciò vorrei dire ai big del Politecnico non cancellate un’emozione e permettete ai fuoricorso di esistere. Anche perché io sono in parola per fare la festa di laurea in un agriturismo all’interno d’una miniera dismessa.

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