L’effetto Colonia condiziona Palazzo Chigi FEDERICO GEREMICCA*

Un singolare destino, quasi un filo invisibile, sembra ciclicamente legare le sorti di Angela Merkel...

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Un singolare destino, quasi un filo invisibile, sembra ciclicamente legare le sorti di Angela Merkel e di Matteo Renzi. Dichiaratamente duellanti sul proscenio europeo, tra le mura di casa vivono ormai da settimane acutissime e crescenti difficoltà dettate dall’identica emergenza: quella determinata da flussi migratori incessanti e ormai incontrollabili. 

Le difficoltà, certo, non sono nuove: ma nelle ultime 48 ore i fatti di Colonia, da una parte, e l’idea di depenalizzare il reato di immigrazione clandestina, dall’altra, le stanno amplificando a dismisura. 

Angela Merkel paga oggi la decisione (giacobina?) assunta quest’estate di accogliere in Germania tutti i profughi provenienti dalla Siria: e sta diventando, agli occhi dell’opinione pubblica, la responsabile numero uno del clima di paura e insicurezza che si sta diffondendo nel Paese. Matteo Renzi, d’altro canto – nonostante i sondaggi segnalino da tempo un malessere assai diffuso nel Paese – non deflette dalla linea che si è dato sin da subito in materia di immigrazione: se salvare vite umane in mare vorrà dire perdere qualche voto, ebbene sono pronto a perderli. Si tratta di una linea dichiaratamente apprezzata dall’Europa e dalle gerarchie vaticane: ma con i tempi che corrono, aggiungerci la depenalizzazione dell’immigrazione clandestina rappresenterebbe una sfida (una scommessa) dagli esiti incertissimi. 

E così, il provvedimento per ora resta congelato, perché le reazioni che ha determinato (nell’opinione pubblica, nel Parlamento e nella stessa maggioranza di governo) hanno convinto il presidente del Consiglio a prender tempo per meglio valutare le mosse da fare. A consigliare prudenza non è il merito del decreto legislativo immaginato – da tempo, anzi, caldeggiato da più parti – quanto l’«opportunità politica» di procedere al suo varo in un momento in cui i fatti di Colonia e lo stillicidio di attentati piccoli e grandi stanno ulteriormente amplificando una già diffusa sensazione di paura e insicurezza.  

A Matteo Renzi non sarebbe dispiaciuto andare controcorrente anche in questa occasione, così da rimettere alla prova – come per il Jobs Act e la riforma costituzionale, per citare solo due casi – la sua leadership sia nella «cittadella politica» che presso l’opinione pubblica. Non solo: non gli sarebbe dispiaciuto (e non gli dispiacerebbe…) varare tutti assieme – e a inizio anno – provvedimenti come la legge sulle unioni civili, quella sul diritto di cittadinanza e appunto il decreto in materia di immigrazione, capaci di ridare un profilo più definito – e più «di sinistra» – al suo Pd. Molti, però – anche dall’interno dello stesso Partito democratico – gli hanno consigliato un colpo di freno, almeno sul reato di clandestinità: invocando, appunto, motivi di «opportunità politica». 

E’ possibile che fermarsi a riflettere sia la scelta migliore; è certo, però, che un buon provvedimento non vedrà per il momento la luce – e non è la prima volta che accade – per l’impossibilità di spiegarne il senso e l’utilità. Una impossibilità – sia chiaro – determinata dal clima che si respira nel Paese dopo mesi (ma sarebbe più onesto dire anni) di uso demagogico, incivile e propagandistico di tutta la tragedia-immigrazione.  

Infatti, a meno che non si voglia considerare un successo l’arrivo in Italia nel 2015 di «solo» 170 mila migranti, l’aver introdotto il reato di clandestinità non ha sortito alcun effetto. Anzi: secondo magistrati e operatori di prima linea, quella scelta ha complicato e ostacolato la guerra a «trafficanti» e scafisti, oltre ad intasare i già sommersi tribunali italiani. Per altro, non è che la legge in vigore preveda – come qualcuno strumentalmente fa intendere – l’arresto per chi venga sorpreso sul nostro territorio privo di permesso di soggiorno (solo multe salate che nessun migrante, naturalmente, è in grado di pagare). In più, trasformando automaticamente tutti gli immigrati in imputati, ha reso più difficile la loro collaborazione (potendo, per legge, avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande degli inquirenti). 

Intervenire, dunque, sarebbe giusto: ma oggi non si può. E’ questa l’aria che tira. Non è un gran segnale per la nostra democrazia, ma bisogna prenderne atto. E magari ricordarsene quando si ripete che immigrazione e minacce terroristiche non devono cambiare le nostre abitudini e il nostro stile di vita. E’ giusto: come sarebbe anche giusto, però, tutelare il diritto-dovere di uno Stato sovrano di legiferare come e quando ritiene opportuno… 

*lastampa

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