Gli scenari che Renzi non controlla

    Gli scenari che Renzi non controlla GIOVANNI ORSINA  GIOVANNI ORSINA – Quanto conta...

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    Gli scenari che Renzi non controlla GIOVANNI ORSINA

 GIOVANNI ORSINA – Quanto conta nella narrazione renziana la posizione che l’Italia ha nel mondo? Moltissimo, senza alcun dubbio. Fin dagli esordi, mostrando uno dei suoi tratti berlusconiani più evidenti, Renzi ha impostato la propria comunicazione sulla necessità che il Paese si trascinasse fuori dalla palude del pessimismo. E poiché l’Italia è sempre stata affetta da un’insopprimibile senso di inferiorità nei confronti delle nazioni «civili» d’Europa, lo sforzo di restituirle la fiducia in se stessa non poteva che prendere forma comparativa: non soltanto siamo un grande Paese, ma siamo un Paese «tanto» grande «quanto» gli altri. E la grandezza, quegli altri, ce la devono riconoscere.

Gli italiani quest’operazione sembrano averla gradita. Un po’, in generale, perché a chi prova un senso atavico di inferiorità non dispiace sentirsi dire che non ha ragione di provarlo – Berlusconi ha vinto più di un’elezione anche grazie a questo. E molto, più nello specifico, perché la crisi del 2011 e la vicenda del governo Monti hanno alimentato quel senso d’inferiorità, accrescendo in misura proporzionale anche un desiderio di riscatto che non sembra essersi spento.

Non è un caso perciò che – stando almeno ai sondaggi – la politica «muscolare» seguita da Renzi in Europa negli ultimi mesi sia stata apprezzata dall’opinione pubblica.

La narrazione «grande Italia nel mondo», tuttavia, non manca di rischi. Soprattutto perché aggiunge al renzismo un ulteriore controllo di realtà oltre a quello della situazione economica. Ossia perché espone il presidente del Consiglio su un terreno che non può controllare se non in piccola parte. Proprio su quel terreno si sono presentate in questi giorni almeno tre sfide che potrebbero mettere sotto pressione la narrazione renziana. Tre sfide alle quali bisogna poi aggiungere un dato strutturale, e forse una quarta sfida.

La questione dei marò, innanzitutto, si è riacutizzata ieri, nel momento in cui l’India ha dichiarato inammissibile la richiesta di far rientrare Salvatore Girone. Renzi può a buon titolo minimizzare le proprie responsabilità affermando che si tratta di un’eredità del gabinetto Monti – ma può farlo soltanto fino a un certo punto, visto che la sua retorica della «svolta» consiste proprio nella promessa di dar soluzione ai problemi che i suoi predecessori non hanno saputo risolvere. Il caso di Giulio Regeni, in secondo luogo, sta acquistando importanza e urgenza via via crescenti. Non sarà facile al governo destreggiarsi fra la sacrosanta richiesta di verità sulla sua morte e di castigo per i suoi assassini da un lato, e dall’altro l’esigenza di non contribuire a destabilizzare un paese cruciale come l’Egitto – del quale, per altro, l’Italia è il primo partner commerciale in Europa.

La terza sfida, potenzialmente ben più devastante delle prime due per gli equilibri politici nazionali, è la notevole crescita dei flussi migratori, e in particolare dei flussi di migranti per motivi economici, che s’è manifestata nel primo trimestre di quest’anno e che potrebbe consolidarsi nei mesi a venire. Con una tornata importante di elezioni municipali fra un paio di mesi, il referendum costituzionale in autunno – inevitabilmente destinato almeno in parte, e forse in larga parte, a trasformarsi in un voto pro o contro Renzi –, e la Lega e il Movimento 5 stelle in buona forma, il presidente del Consiglio di tutto avrebbe bisogno tranne che di ondate su ondate di migranti che approdano a Lampedusa in primavera ed estate. In un quadro europeo, per altro, che su questi temi rimane quanto mai fragile e ambiguo.

Il dato strutturale, infine, è quello contro il quale le narrazioni ottimistiche sull’Italia nel mondo naufragano da sempre: le nostre debolezze oggettive. Debolezza nei fondamentali economici, che non ci agevola certo quando aspiriamo a un ruolo di leadership in Europa. E debolezza dello spirito pubblico, che vorrebbe sì abitare nel corpo d’un grande Paese, ma si ritira immediatamente quando si tratta, per quella grandezza, di pagare il conto. Proprio con quest’ultima debolezza la narrazione renziana potrebbe scontrarsi presto se, come sembra da ultimo, la situazione politica in Libia evolverà positivamente, e l’Italia dovrà affrontare la sua quarta sfida: impegnarsi al di là del Mediterraneo.

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