Hillary Clinton: Giustizia economica ed equità dei redditi

Giustizia economica ed equità dei redditi Hillary Clinton parla alla Convention democratica, accetta la nomination...

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Giustizia economica ed equità dei redditi

Hillary Clinton parla alla Convention democratica, accetta la nomination presidenziale e inizia la sfida per la Casa Bianca. Nel discorso che pronuncia nella Wells Fargo Arena declina la sua “promessa americana”: più posti di lavoro, aumento del salario minimo e sconfitta del terrorismo di Isis. Battere Donald J. Trump nelle urne dell’8 novembre può consegnarle la presidenza e al tempo stesso stabilire un modello di programma capace di respingere altrove l’assalto delle forze populiste. Per vincere Clinton punta soprattutto su giustizia economica ed equità dei redditi.

Ecco il come ed il perché analizzati nell’editoriale di Molinari

Giustizia economica per battere i populisti MAURIZIO MOLINARI

Il partito democratico esce dalla Convention nella Wells Fargo Arena come la forza politica tradizionale dotata del più credibile e aggressivo progetto per sconfiggere la rivolta populista che attraversa l’Europa e gli Stati Uniti.

Il motivo lo spiega Barney Frank, ex deputato del Massachusetts veterano delle battaglie liberal di Ted Kennedy, quando dice: «La sfida è sulla giustizia economica e sull’equità di reddito». Per risolvere le diseguaglianze che alimentano la rabbia del ceto medio e rispondere allo scontento causato dall’impoverimento delle famiglie Hillary Clinton punta a ricostruire l’America dall’interno al fine di generare le risorse necessarie. Adattando al presente la lezione di Lyndon B. Johnson che a metà degli Anni Sessanta decise di «mettere un pollo dentro ogni pentola» per realizzare la «Great Society» contro povertà e razzismo. Terry McAuliffe, governatore della Virginia e fedelissimo dei Clinton, ritiene che la strada per riuscirci è «ricostruire le infrastrutture» – porti aeroporti e ferrovie – in maniera massiccia sfruttando una situazione politica inedita: la convergenza di interessi al Congresso di Washington fra leader democratici e repubblicani nell’impedire che il progetto di Donald J. Trump sopravviva politicamente alla sua eventuale sconfitta nell’Election Day.

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La promessa dei democratici di Hillary sulla «giustizia economica» include l’aumento del salario medio e la ridefinizione degli accordi sul libero commercio – entrambe battaglie del rivale progressista Bernie Sanders – come anche la piena inclusione di tutti gli immigrati, compresi quelli «senza documenti» simili ad Astrid Silva, la ventenne messicana invitata a parlare dal palco della Convention sfidando convenzioni e pregiudizi sugli «illegali». L’«equità» che Hillary si propone di realizzare non è solo economica: si tratta di un progetto per trasformare ogni singolo tassello indebolito del mosaico umano nazionale nel protagonista della ricostruzione del benessere collettivo. Si spiega così l’enfasi sul ruolo delle minoranze – anzitutto ispanici ed afroamericani – perché avrà bisogno non solo dei loro voti per prevalere sull’onda-Trump – che avanza con forza nei sondaggi – ma anche del loro entusiasmo per risollevare alcuni settori, come i servizi nei piccoli centri, da troppo tempo penalizzati. Luis Fraga, co-direttore dell’Istituto di studi latinoamericani all’Università di Notre Dame, Indiana, lo riassume così: «Per gli ispanici non basterà votare per Hillary Clinton nelle urne, ciò che più conta avverrà subito dopo» perché dovremo «ricostruire una nazione più equa».

Ovvero, fare delle minoranze il perno di un nuovo modello socio-economico. Il tentativo di far convergere su questa piattaforma il partito democratico, l’ala ribelle dei progressisti, i repubblicani in fuga da Trump e gli indipendenti che avrebbero voluto Michael Bloomberg, dà alla missione di Hillary una cornice di unificazione nazionale richiamandosi allo spirito della Costituzione dei Padri Fondatori che immaginarono un’Unione in grado di «perfezionarsi» nel corso del tempo. E’ questa idea di unità nazionale capace di rinnovarsi in continuazione che manca a molte forze politiche europee alle prese con la sfida dei populismi. Ciò significa che se Hillary batterà Trump l’8 novembre il fronte anti-populista in Occidente avrà una formula politica, ed un programma concreto, a cui potersi richiamare mentre in caso contrario il successo di Donald «il gladiatore» – come lo definiscono i suoi stretti collaboratori – avrà spazzato via anche la versione più innovativa e inclusiva dell’establishment.

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