171 a 117: passa il Governo gialloverde (pocotanto) spalmato sul nerorosso (tantopoco)

Di sicuro tutti l’avranno notato, ma forse in pochi si sono presi la briga di...

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Di sicuro tutti l’avranno notato, ma forse in pochi si sono presi la briga di chiedersi e di annotare: ma se si parla di Governo Conte, come mai di Conte non si parla?

Tutti avranno ben notato che in qualsiasi talk show politico di questi giorni, quando si parla del Governo e del suo “programma”, – ribattezzato “contratto” -, immancabilmente si parla di tutto e tutti ma non di Conte. Mai che si senta dire: il programma di Conte prevede, ritiene, auspica, si adopererà per, ecc ecc . Mai! Immancabilmente, ed invariabilmente, ci si trova a seguire TUTTI gli ospiti convocati a discutere e disquisire sul DUO: Salvini-Di Maio (Lega-M5S).

Salvini ritiene, Salvini pensa, Salvini ha fatto, Salvini, Salvini, Salvini.

E poi c’è anche la variante Di Maio e sempre con la stessa cadenza: Di Maio pensa, Di Maio ha detto, Di Maio ha fatto ecc ecc.

Unica variante intercalante: La Lega (di Salvini) ritiene, pensa, vuole ecc ecc; il Movimento Cinquestelle (di Di Maio) ritiene, pensa, vuole ecc ecc. Tutto qui, purtroppo!

Questa “evidenza” è saltata agli occhi e alle orecchie anche nel discorso di ben 72 minuti (un record) che ha tenuto ieri nell’aula del Senato per chiedere la fiducia non a lui, non ad un suo programma, ma ad un Contratto. Un Contratto stipulato e scritto non da lui, ma da altri. Sì, è vero, ha buttato lì che anche lui ha assistito alla stesura se ben non incisivamente. Insomma ha avuto la stessa parte del portantino che porta il paziente in sala operatoria. Anche lui, tecnicamente, è stato parte attiva “all’operazione” ed è stato presente, ma di sicuro niente ha avuto, ne ha, a che vedere con l’operazione. Ad ogni modo e come è risaputo, il Contratto è stato stilato, e poi Firmato, da e tra altri. Poi consegnato a lui per una controfirma di dovere. “Ordine scritto”, quindi, e non già un “Programma” di Governo, men che meno “Suo”. Insomma, poco più, o anche poco meno, della classica nota spesa per la colf. Promemoria da eseguire unicamente obbedendo e tacendo: Credere, obbedire, tacere. E lui questo ha fatto da buon Pepininu.

Chi è Pepininu vi starete chiedendo (soprattutto se non meridionale e per di più siculo o calabrese)!

Ebbene, Pepininu, – nell’opera dei pupi siciliani -, è il “servitore” di Orlando e Rinaldo (gli odierni Salvini e Di Maio). E’ il personaggio che dà corpo all’immaginario collettivo, tra la storia mitica e quella interiore, tra il parlatore con i suoi sogni e le sue fantasie (Di Maio; – ma anche Salvini non scherza); e il pubblico, con i suoi ideali e le sue paure (Salvini, senza dubbio).

Per i nordici che magari preferiscono Goldoni, diciamo allora Arlecchino (ovvero: Truffaldino, servo di due padroni) tanto il risultato non cambia e l’idea è parimenti resa.

La comparazione a quanto sopra si è rafforzata in me man mano che sentivo le parole di Conte. A chiudere gli occhi, e magari a leggerle anziché ascoltarle, non avrei fatto alcuna fatica ad immaginare ora Salvini, ora Di Maio, nel prosieguo del loro show da mercato: venghino siori e siori, venghino. Noi non siamo qui per vendere o chiedere, ma per offrire, regalare.

Quando poi Conte ha fieramente vantato come merito suo (DUO) di essere populista (“ma non siamo razzisti”, per carità) allora si sono accesi tutti i fari del proscenio. Ma l’apoteosi la si è avuta quando si è cimentato nel pezzo riferito ad ancora altri due padroni: Europa e l’Atlantismo ma, aperti e vicini alla Russia passando anche da Orban. (Sic!)

Ai tempi della cosiddetta prima Repubblica i loro consimili avrebbero ribaltato Camera, Senato e Piazze gridando all’asservimento, e al vendersi alla Russia, dei soliti sporchi comunisti. Ma ora no! Ora ci sono loro, ed ecco che allora si cambia lessico e denominazioni come il famoso prete che, per mangiare carne anche di venerdì, la battezzava pesce.

Ed allora ecco che, a partire dalla composizione del Governo e di chi ne è al comando (o, più propriamente, appare: ci ha messo la faccia, insomma), abbiamo che il quanto prima, gracchiando e stranazzando, stigmatizzavano come Governo Tecnico, ora lo hanno ribattezzato: Governo dei Cittadini, ed ecco che tutto diventa normale e lecito, persino miracolo, come la carne che diventava pesce.

Parimenti, la vicinanza alla Russia stigmatizzata un tempo, ora diventa un vanto, un must, e tale è anche la vicinanza ed il piegarsi ai giochi degli ungheresi il che ci riporta ancora più indietro nel tempo: al giogo austro-ungarico. Cosa dura da digerire tanto più che ci toglie anche il poter auspicare che le cose procedano con il tempo dato che, da lì, siamo poi passati prima al defraudamento del Sud e poi al nefasto ventennio sempre più caro ad uno del Duo come caro fu l’elmo colle a Leopardi.

E già, perché quanto più tempo passa più traspare il nerorosso (tantopoco) sul quale hanno spalmato un lieve strato di gialloverde (pocotanto), ed allora hai voglia a dichiararti “non razzista” come anche “orgoglioso” di essere populista. La realtà è che di razzismo si tratta, – ed anche della peggior specie dato che è condita e si nutre di grassa ignoranza -, e che se di “populismo” vogliono parlare si tratta, al massimo, di un populismo becero, un “populismo dandy alla Peron” (come scrive anche Franceso Bei nel suo editoriale su La Stampa). Cosa ben lontana dai sentimenti ed ideali che ne videro i natali. Sentimenti ed ideali che derivavano da un socialismo rurale, in opposizione al burocratismo zarista (e noi torniamo nell’orbita non solo della Russia, indi di Zar Putin, ma anche – addirittura – dell’ungherese Orban) e all’industrialismo occidentale (al quale vogliono offrire un bel taglio sulle tasse).

Per concludere, aggiungiamoci poi che domenica, in Slovenia, l’ex premier Janez Jansa ha vinto le elezioni grazie anche alla «benedizione» del leader ungherese Orban con anche il «da» zarino, e proviamo ancora a non voler vedere ancora dove stiamo andando. Il burrone è lì. Noi siamo sul ciglio ed abbiamo già alzato il primo piede per fare il passo …. fatidico? Chi lo sa! Solo il tempo ce lo dirà, ed anche se è risaputo che, nel lungo tempo, saremo tutti morti, noi aspettiamo fiduciosi continuando a sperare e a recitare: Io speriamo che me la cavo.

Stanislao Barretta

PS

Mi sia consentito un pensierino a quella parte dei miei cari “conterronei” che hanno dato corpo ad un qualcosa che sa di assurdo: accettare, votare e osannare Salvini e quanto lui vuol significare sia proprio direttamente, come persona, che come “ideale politico”.

Siete, con tutto il rispetto e l’affetto da conterrone, patetici e senza più ne orgoglio ne dignità. Chiedo susa ma così la penso (e così è) ed è un qualcosa che da tempo mi pesa sullo stomaco per cui ora ho iniziato a buttarlo fuori. 

Dimenticare tutte le invettive della Lega (mai sopite e mai regresse, comunque incaccellabili) e di Salvini e far finta di non comprenderne la base razzista anche nei confronti del Sud, è un qualcosa di inconcepibile e di inaccettabile. E’ vero, c’è la cosiddetta sindrome di Stoccolma, quel sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta dialleanza e solidarietà tra vittima e carnefice, ma non basta a giustificare il tutto ed inoltre: qui siamo andati ben oltre.

Ma questo è altro e magari ne farò oggetto di un prossimo articolo con promemoria del SalvinLega pensiero tanto per ….. . Intanto, ancora e sempre: Io speriamo che me la cavo!

Stanislao Barretta

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