11 arresti per droga nel Vesuviano: sgominato il clan Batti

Arresti membri del clan Batti tra San Giuseppe Vesuviano e Terzigno Due ordinanze di custodia...

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Arresti membri del clan Batti tra San Giuseppe Vesuviano e Terzigno

Due ordinanze di custodia cautelare – emesse nell’ambito del medesimo procedimento dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia – sono state eseguite dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata e dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Salerno nei confronti di 11 persone (per nove è stata disposta la custodia cautelare in carcere, per altri due gli arresti domiciliari) ritenuti promotori o affiliati o agevolatori di una nuova associazione mafiosa armata, il cosiddetto clan Batti, operante nei comuni di San Giuseppe Vesuviano, Terzigno e zone vicine.

La prima ordinanza di custodia cautelare trae origine da un’attività di indagine svolta tra la fine del 2013 e la fine del 2014 dal Nucleo Investigativo di Torre Annunziata e focalizzata sull’esistenza e operatività del nuovo clan, dedito, prevalentemente, al commercio di stupefacenti (cocaina, marijuana ed hashish) e strutturato intorno alla famiglia Batti, in particolare ai fratelli Batti, detti “i milanesi”, la cui storica estrazione criminale deriva dal padre, ucciso in un agguato di stampo mafioso nel dicembre 1990.

Le attività di indagine hanno preso spunto dai tentati omicidi di L. Avino (avvenuto a Terzigno il 28.04.2013) e di M. N. Fabbrocini (avvenuto a San Giuseppe Vesuviano il 27.09.2013), in un’area tradizionalmente controllata dal clan Fabbrocino, inducendo a ritenere che fosse in atto una fase di alterazione degli equilibri criminali su quel territorio. In merito, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia avevano rivelato che già nel 2008 i Batti erano stati autorizzati dal clan Fabbrocino a spacciare stupefacenti a San Giuseppe Vesuviano, dietro versamento di una quota di proventi alla stessa poteste cosca. L’avvio delle indagini ha rivelato che la nuova compagine criminale si era nel frattempo affrancata dall’obbligo di versare una quota dei proventi delle attività di spaccio, acquisendo autonomi spazi di operatività.

Nel corso delle indagini è emerso come il clan si imponesse sul territorio attraverso azioni punitive e ritorsive nei confronti di terzi entrati in contrasto per il mancato pagamento delle forniture o per sconfinamenti territoriali. Il contrasto alle forze dell’ordine era attuato attraverso il monitoraggio del territorio (così da scongiurarne l’eventuale intervento), l’utilizzo di canali di comunicazione dedicati (i cd. “telefoni della fatica”), la realizzazione di appositi locali dove nascondere armi e stupefacenti accessibili soltanto attraverso apposita strumentazione, la dotazione di un vasto parco di autovetture utilizzate in via esclusiva per gli affari illeciti ed il continuo cambio di utenze degli indagati, per lo più intestate a stranieri o a terzi estranei ai fatti o a nomi di fantasia. Ulteriori precauzioni erano adottate dal capo clan, A. Batti, soggetto di particolare ferocia anche nei confronti dei suoi sodali, il quale non veniva quasi mai contattato telefonicamente dagli altri indagati, ma effettuava la maggior parte delle comunicazioni attraverso Mario Nunzio Fabbrocini, sua longa manus, che riportava il suo volere agli altri soggetti e viceversa.

Le attività di indagine hanno consentito di individuare in Alfredo Batti il capo indiscusso dell’associazione, mentre i fratelli Luigi e Alan Cristian, ai quali era stato demandato il controllo delle attività di spaccio a Ottaviano e San Giuseppe Vesuviano, svolgevano una funzione di raccordo tra lo stesso capo clan  e gli altri; M. N. Fabbrocini, F. Campanile ed S. Ambrosio erano invece referenti, portavoce ed esecutori delle singole azioni criminose.

La seconda ordinanza di custodia cautelare deriva da un’ulteriore attività investigativa svolta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Salerno sotto la conduzione della locale D.D.A. – successivamente trasmessa per competenza al paritetico organo distrettuale di Napoli – e ha evidenziato la capacità del sodalizio criminale di approvvigionarsi di considerevoli quantità di droga.

L’attività investigativa, durata quasi due anni, è stata sviluppata non senza difficoltà, dovute anche ai continui accorgimenti e alle precauzioni adottate dagli indagati: incontri de visu in aree ad alta densità criminale, frequenti cambi di utenze telefoniche (intestate a nominativi di fantasia) e di apparecchi cellulari, utilizzo di un linguaggio estremamente criptico sono alcuni degli ostacoli che gli investigatori hanno dovuto superare per ricostruite le dinamiche delle trattative poste in essere dal sodalizio.
Nel medesimo contesto operativo, i Finanzieri del Comando Provinciale di Salerno hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro, fino ad un valore di circa 2,5 milioni, finalizzato alla confisca di beni mobili e immobili riconducibili agli indagati, in capo ai quali è emersa una notevole sproporzione tra i redditi dichiarati e l’effettiva situazione patrimoniale, ricostruita con il supporto del Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata (SCICO) della Guardia di Finanza.

 

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