Mario Tozzi: le maxi-scosse in rapida successione provocate dal ”contagio laterale”

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Per Mario Tozzi le maxi-scosse in rapida successione sono state provocate dal fenomeno del «contagio laterale». La neve cade copiosa e blocca migliaia di persone in casa, rallenta i soccorsi e le vie di fuga. È un incubo che si ripete per le popolazioni già colpite dai sismi del 2016. Quattro scosse raggiungono magnitudo 5 in meno di 24 ore. «Non si era mai vista una serie di terremoti succedersi con queste modalità», spiegano dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Quattro maxi-scosse in poche ore. La sequenza che spaventa i geologi

Così il “contagio laterale” tra le faglie ha innescato l’inedita successione ravvicinata

I terremoti sulla Terra sono frequenti come le tempeste e dunque non deve meravigliarci quanto sta accadendo. E cioè che da agosto a oggi si siano registrate oltre 45.000 scosse in Italia Centrale, una ogni cinque minuti circa. Semmai è la nostra memoria di sapiens a essere troppo limitata per ricordare una successione così ravvicinata di scosse superiori a magnitudo 5 Richter tutte in una stessa zona (stavolta quattro in quattro ore, un evento che non è identico ad altri recenti). Ma, detto questo, non si ravvisa nulla di anormale nella sequenza sismica che si è aperta lungo un segmento più meridionale della stessa struttura già responsabile dei sismi di Amatrice e Norcia. «Coppie» sismiche si registrarono, per esempio, anche in occasione di sismi dell’Irpinia (1980) e dell’Umbria-Marche (1997), per non parlare di quello del 24 agosto scorso proprio ad Amatrice. Sono appunti di uno stesso pro memoria inviatoci periodicamente dalla Terra per impedirci di dimenticare che l’Italia è il Paese geologicamente più attivo del Mediterraneo e che l’immunità dal rischio naturale non rientra nei valori negoziabili dagli umani.

Si tratta di una faglia, o, meglio, di un sistema di faglie gemelle, parallele e con la stessa dinamica, che si è (ri)attivata prima ad Amatrice (agosto, magnitudo 6 Richter), poi più a Nord a Visso (settembre, 5,6), poi un poco più a Sud, a Norcia (ottobre, 6,5) e ieri decisamente più a Sud a Montereale. I segni delle scosse precedenti sono ben visibili lungo tutto il tratto affiorante della faglia stessa (più di 15 km ormai), soprattutto alla base del Monte Vettore. Questa famiglia di faglie sembra come contagiarsi l’una con l’altra, ed effettivamente è proprio quello che starebbe accadendo: non esattamente un effetto-domino classico, visto che non è iniziato da un capo, bensì nel mezzo (e poi si è spostato prima a Nord, poi a Sud), ma comunque uno scarico di energia da una faglia all’altra.

Si tratterebbe di una «propagazione laterale» della sismicità, come sostengono i dati del Cnr: allo scarico della zona ipocentrale precedente corrisponde un carico sui frammenti laterali adiacenti alla faglia stessa. Sono questi frammenti a essersi rotti e ad aver generato gli ultimi terremoti di ieri. La stessa dinamica registrata a fine ottobre dell’anno scorso. Come già avevamo scritto, il contagio può avvenire dopo anni o decine di anni, ma anche dopo giorni o mesi, come sembra stia accadendo oggi. La propagazione laterale favorisce una serie di terremoti forti ma, in generale, non fortissimi: una tendenza che speriamo si ripeta anche stavolta. Se tutti i segmenti della faglia si fossero attivati tutti insieme, si sarebbe potuto generare un terremoto molto più forte.

Come in tutti gli altri casi, non possiamo prevedere la futura evoluzione di questa sequenza, se sarà un rilascio «distribuito» e graduale dell’energia sismica, oppure un rilascio «esplosivo», attraverso scosse ancora più forti. Sicuramente l’Appennino sta caricando ancora energia in profondità e cerca un nuovo assetto sprofondando periodicamente verso il basso. Questo accade da decine di migliaia di anni e accadrà ancora per millenni. In questo contesto, l’attivazione di nuove faglie o di segmenti di antiche non è una probabilità, è una certezza.

Lo sprofondamento del settore di Castelluccio è stato valutato in circa un metro complessivo: se moltiplichiamo questo dato, ottenuto in pochi mesi, con quello che è accaduto nel corso delle decine di migliaia di anni, si comprende bene come tutto il paesaggio dell’Appennino, dalla cresta montuosa alla pianura, sia di origine sismica. Una delle ragioni per cui questo rischio deve entrare nella nostra cultura molto più di quanto sia accaduto in passato, informandone i comportamenti e spazzando via quel fatalismo che già vediamo venire invocato. Non c’è nessun «mostro» nel sottosuolo, come sentiamo incredibilmente ripetere (pure da chi vive in zona classificata S1 a massimo rischio), che se la prende, implacabile, con chi è già stato colpito, ma solo la nostra ostinazione a non voler tener conto che l’Italia è fatta di borghi e di faglie, di monumenti e terremoti, entrambi parte fondante del nostro Paese.

Qualche dato positivo c’è: in Italia le faglie non sono mai lunghissime (meno di 40 km) e i blocchi di crosta terrestre coinvolti sono di dimensioni limitate, ragione per cui difficilmente i sismi superano magnitudo 7 Richter. Però, invece di scrollarsi la polvere dalle spalle, come dovremmo fare se avessimo costruito bene e mantenuto meglio, a ogni terremoto contiamo vittime e danni da Paese mediorientale. Purtroppo da noi il terremoto che avrebbe dovuto segnare un svolta culturale decisiva, quello di Reggio e Messina del 1908, non lo ha fatto. Mentre il terremoto di San Francisco (1906) e quello di Yokohama (1923) hanno cambiato l’orizzonte culturale di quei Paesi portandoli a pianificare di conseguenza costruzioni e comportamenti, nonostante sismi di magnitudo anche superiore a 8.

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