Macron ora deve affrontare un compito epocale

Nel suo editoriale su La Stampa, Cesare Martinetti spiega che Macron affronta un compito epocale: ...

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Nel suo editoriale su La Stampa, Cesare Martinetti spiega che Macron affronta un compito epocale:  “Dovrà rimettere insieme la Francia, riconciliare il suo Paese con l’Europa e l’Europa con se stessa”.

La riconquista della Bastiglia

Emmanuel Macron va all’Eliseo, 65 a 34, risultato netto. È il presidente più giovane, 39 anni, e ha ora un compito epocale: rimettere insieme la Francia che mai come ieri è parsa spaccata. E poi riconciliare il suo Paese con l’Europa e l’Europa con se stessa. Marine Le Pen ottiene un risultato storico, ma non basta. Il ballottaggio è spietato come una ghigliottina: uno vince l’altro perde. Ma c’è un terzo partito che esce dal risultato di ieri: 25 per cento di astenuti (record dal 1969 a oggi) e 12 per cento di schede bianche. Questo vuol dire che Macron è un presidente di minoranza nel Paese, l’eletto di una battaglia per difetto più che per scelta. E non sa ancora con quale maggioranza dovrà governare: tra un mese ci saranno le legislative e grande favorita è la destra repubblicana di Fillon e Sarkozy, gli sconfitti della presidenziale.

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È comunque la vittoria della Francia razionale e razionalista che nei lunghi, ultimi mesi dell’infelice presidenza socialista di François Hollande sembrava destinata ad essere sommersa dall’erede della Francia nera. Non è accaduto. Ed è una buona notizia anche per noi. La vittoria del Front National avrebbe innescato un domino imprevedibile, la caduta della Francia sarebbe stata più che simbolica. Una Bastiglia all’incontrario. Dopo Brexit, non ci sarà Frexit; dopo Trump non ci sarà Le Pen.

La storia dell’Europa può ricominciare e non può farlo senza il tandem franco-tedesco. Mai Angela Merkel si era tanto spesa sulle elezioni di un altro Paese. Ed è accaduto ben prima del ballottaggio: Emmanuel Macron era il candidato della cancelliera, sempre prudente, che nel 2012 aveva persino evitato accuratamente di farsi vedere con Nicolas Sarkozy. La riforma dell’Europa non può aspettare, si riparte dall’asse Parigi-Berlino. Il presidente della Commissione Juncker ha subito diffuso il suo messaggio: felice che i francesi abbiano scelto un avvenire europeo. Si schiarisce anche l’orizzonte tedesco in vista delle elezioni politiche dell’autunno, indipendentemente da chi vincerà, Merkel o il socialdemocratico Schulz. Da quando si è aperta la competizione tra loro, gli antieuropei dell’AfD hanno perso consensi e si sono spaccati. Quando li affrontano leader veri, com’è successo in Olanda (e prima in Austria), gli antisistema cedono. Nella vecchia Europa, per ora, va così.

In Francia la battaglia è stata diversa: un candidato giovane, senza partito, contro una candidata non nuovissima, ma con un vecchissimo partito. Macron con il suo movimento «En Marche!» ha certo compiuto un miracolo politico, favorito però dal crollo dei due storici rivali: socialisti e gollisti, caduti soprattutto per difetto dei loro fragili candidati. Macron è riuscito nella sintesi tra destra e sinistra: è un liberaldemocratico più che un socialdemocratico. Ha fatto le grandi scuole, SciencesPo ed Ena, poi ha lavorato alla banca Rotschild, è stato brevemente ministro dell’Economia, conosce la finanza e l’economia globale, ha fede nell’Europa e nei fondamenti della buona grammatica repubblicana, democratica ed universalistica francese.

Dopo essere stata per quasi un anno in testa a tutti i sondaggi Marine Le Pen non ha sfondato. Il suo risultato è considerevole ma nessuno aveva mai davvero previsto che potesse diventare presidente. Il dibattito tv di mercoledì scorso è stato catastrofico per lei: di fronte alla freddezza e competenza di Emmanuel Macron è caduta la maschera, la retorica è precipitata nel vuoto delle proposte, non ha saputo andare oltre slogan e confini dell’ultradestra. Se vogliamo dirla all’italiana, non ha saputo trasformarsi in un Grillo, è rimasta Salvini.

Per Emmanuel Macron è però decisivo saper parlare alla parte meno ideologica del suo elettorato, i nuovi poveri, le vittime a vario titolo della mondializzazione che hanno votato in maggioranza per il Front. Più difficile sarà per lui parlare a quel 19 per cento di elettori del rosso-verde Mélenchon che sono il grosso di astenuti e schede bianche.

Il nuovo, giovanissimo presidente ha però saputo sorridere e parlare con ottimismo. Erano anni che non accadeva in Francia. Non è poco: «Si apre una nuova pagina della nostra lunga storia: che sia quella della speranza e della fiducia ritrovata», ha detto ieri sera. E vale anche per noi.

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