Legge elettorale: Matteo Renzi ha segnato un punto dentro il Pd

La legge elettorale ottiene il primo sì alla Camera con 375 voti favorevoli e 215...

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La legge elettorale ottiene il primo sì alla Camera con 375 voti favorevoli e 215 contrari: mancano 50 voti alla maggioranza ma i franchi tiratori hanno avuto un impatto minimo. Per questo Fabio Martini nella sua analisi osserva che “Matteo Renzi ha segnato un punto dentro il Pd”, riuscendo a garantire la tenuta della maggioranza.

Legge elettorale, scatta l’allarme rosso sulle liste.

RENZI TENTATO DALLA BLINDATURA  

A parole Matteo Renzi aveva continuato ad affettare indifferenza («La legge elettorale? Non ci vado pazzo…»), con la postura di chi vuol dimostrare all’opinione pubblica che i suoi pensieri sono ben altri: più concreti, più vicini ai problemi del popolo italiano. Ma la «grande soddisfazione» fatta trapelare, a conti fatti, dal leader del Pd racconta il compiacimento di chi ha cercato, voluto e alla fine ottenuto il voto positivo della Camera dei deputati. Matteo Renzi ha vinto la prima mano e quasi certamente vincerà, con l’aiuto consapevole e manifesto di Berlusconi, Salvini e Alfano, anche la seconda: quella del voto di palazzo Madama. A quel punto il Rosatellum bis sarà legge dello Stato. La quinta riforma elettorale in 25 anni. Ogni quinquennio, una legge. Un record mondiale, che carica il leader del partito di maggioranza relativa di un peso persino superiore alle sua quota di responsabilità per questo poco invidiabile score.

Renzi sa che al di là della consistenza della dissidenza nascosta nel voto (circoscritta ma non trascurabile), da giorni peones, notabili e leader di corrente del Pd tra di loro parlano di una sola cosa. Una specie di ossessione: nel comporre le future liste elettorali e nell’indicare i candidati nei collegi, Renzi farà l’assopigliatutto o seguirà un principio proporzionale, assegnando ai vari gruppi interni le loro quote, sia pure di minoranza?

A prima vista sembra una questione tutta interna al Pd. Sembra un enigma che riflette solamente l’ansia personalissima di tutti quei parlamentari destinati fatalmente a non ripetere la dorata vita dell’onorevole.

Ma nella selezione della pattuglia parlamentare si gioca una quota non banale della efficacia della nuova riforma elettorale. Su un punto dirimente: la rappresentatività del futuro Parlamento. Gli onorevoli prossimi venturi saranno un’immagine, sia pure un po’ opacizzata e deformata, dei propri elettori o finiranno per rappresentare uno specchio perfetto dei leader e delle loro “brame”? Se, come è possibile, la scrematura sarà fatta soltanto sulla base degli umori e delle preferenze dei capi, il prossimo Parlamento rischia di presentare poco invidiabili caratteristiche di uniformità e di conformismo.

Non è detto che vada a finire così. Per ora ci sono soltanto i presupposti. E la responsabilità maggiori, ma non esclusive, vanno al Pd. Perché è ancora oggi il partito di maggioranza relativa. E perché è l’unico partito nel quale esiste una vita democratica. Nei partiti della Prima Repubblica, che tanti errori fecero nell’approvvigionamento delle “risorse”, i congressi servivano a determinare i leader, ma anche le quote per le minoranze negli organismi dirigenti e delle rappresentanze parlamentari.

Da ieri sera nel Pd è scattato l’allarme rosso. Certo, nel Transatlantico di Montecitorio chi parlava di “pulizia etnica”, faceva scuotere la testa di Lorenzo Guerini, l’uomo che per conto di Renzi, tratterà la formazione delle liste: «E’ del tutto evidente che il segretario selezionerà personalità esterne, non inquadrabili in quote e ci mancherebbe altro. Per il resto sarà seguito un criterio equilibrato». In questi giorni il ministro Dario Franceschini, il personaggio che più teme l’operazione-assopigliattutto, confidava agli amici: «Temo che il risultato siciliano non sarà brillante e questo indurrà Matteo ad essere più ragionevole». Andrea Orlando, un altro che teme l’imprevedibilità di Renzi, confida un altro pensiero: «Siamo in una fase diversa, anche Matteo ne sta prendendo atto». Ma il vero tranello che tutti i notabili del Pd temono è un altro: che il segretario rassicuri tutti sulla rappresentatività delle liste e poi, in zona Cesarini, rivolti il tavolo. A quel punto sarebbe tardi per una scissione-bis, della quale in tanti ancora parlano.

 

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