Populismo e globalizzazione, i paradossi del terzo millennio

Questo è davvero un millennio caratterizzato da tendenze politiche e sociali contrapposte, che esprimono inquietudine...

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Questo è davvero un millennio caratterizzato da tendenze politiche e sociali contrapposte, che esprimono inquietudine e instabilità nel pianeta, alla luce dei nuovi assetti delineati proprio dal volere della gente, che li ha semplicemente espressi all’interno di un’urna, nel corso delle consultazioni elettorali degli ultimi anni. Populismo e globalizzazione convivono felicemente? Sembrerebbe piuttosto disorientamento, ora che le ideologie del passato sono state archiviate dalla storia, e non hanno più senso nella logica di nuovi equilibri geopolitici.
Sul piano economico saranno state le economie emergenti a entrare con irruenza nelle dinamiche del potere, con un’autorità che non è possibile mettere in discussione (dato il ruolo egemonico che svolgono sul piano internazionale), o sarà stata la scalata al potere di Donald Trump, o i fermenti populisti che premono sulle frontiere europee, oppure questo mix micidiale di elementi.
Difficile misurarne l’impatto in questa onda lunga di rivolgimenti, di sicuro sappiamo che nel volgere di un breve spazio di tempo, i ‘giochi’ si sono spostati in un’altra scacchiera. Certo è che stiamo facendo i conti con sordi conflitti che, a fatica, si riesce a contenere e a controllare. Basterebbe pensare all’impeto quasi travolgente del Front National di Marine Le Pen, per capire le ragioni di una paura che serpeggia e minaccia senza giri di parole un’istituzione come l’Unione europea. Istituzione che è stata pensata e organizzata quale deterrente contro i nazionalismi, che già hanno impartito una durissima lezione al mondo, lasciando sul campo quasi 70 milioni di vittime, in gran parte in Europa.
Il populismo è anche quello xenofobo, non sempre riconosciuto, perché mascherato di protezionismo, anche se in realtà cela rigetto verso la Cultura del ‘diverso’, a tutela degli egoismi del privilegio. Ma senza proposte reali di alternative nella soluzione dei problemi che riguardino i paesi in via di sviluppo, non di rado coinvolti in conflitti tremendi. I populisti, appunto, coloro che sfondano i muri della ragione e corrono imperterriti verso un ideale di chiusura affine ad un’autarchia di regime, che così tanti danni ha causato in un passato neppure tanto lontano.
Non è questione di sopravalutare le tendenze chiare espresse dalla società del nostro tempo, esiste una sorta d’intesa rovinosa, che sta edificando ponti ideologici oltre oceano: il populismo in Europa compie la sua inarrestabile marcia, anche perché ci sono establishment politici nel pianeta che ne supportano la sussistenza, e lo fanno apertamente.
Lo fa la Russia di Putin e il governo di Trump, la brexit ha sfondato la barricata di resistenze in Gran Bretagna, anche attraverso il benestare di queste potenze. Ma in definitiva, dove stanno le radici di queste ragioni? Non si tratta di dilemma, e non è del resto di difficile soluzione l’equazione dei nuovi equilibri del potere nel mondo. L’Unione europea non è certo la massima aspirazione delle grandi potenze, la Russia, di fatto, mira a disintegrarla. Che non vi sia un’armonica linea d’intesa è ben noto, e non solo per la ruggine causata dalle misure restrittive e le sanzioni economiche varate dal Consiglio dell’Unione europea negli anni scorsi.
Non solo di questo si tratta, vi sono contrapposizioni di base, di carattere politico, che prevalgono e tendono a frammentare un’unione strategica così importante, che ostacola il potere dei più forti, e all’occorrenza è anche in grado di mettere le pastoie ai piedi quando si ‘sconfina’ con interventi militari non giustificati (o si agisce in modo arbitrario e aggressivo in ambito internazionale, per esempio con l’annessione della penisola di Crimea e relativa destabilizzazione dell’Ucraina), mettendo in tal modo a repentaglio la sicurezza e la pace. Certamente ritenute ‘ingerenze indebite’ dall’establishment russo, ma atti dovuti per il Consiglio dell’Unione.
A questo riguardo vale la pena ricordare che, proprio il 13 marzo scorso, sono state prorogate le sanzioni dell’Ue (dirette alla Russia), per azioni contro l’integrità territoriale dell’Ucraina. Tanti i provvedimenti diplomatici adottati nei confronti dell’ex Unione Sovietica negli ultimi anni. Vertici Ue-Russia sospesi, esclusione dal G8, sospensione dei negoziati riguardanti l’adesione della Russia all’Ocse (sostenuta anche dall’Ue), e all’Agenzia internazionale per l’energia. Ma l’elenco è lungo. E’ evidente che l’Unione europea è diventata una sorta di spina sul fianco, un’istituzione in grado di marcare a vista operato e iniziative che mettono in gioco la sovranità sul territorio degli stati insidiati.
Se soltanto si considera il ruolo di ‘vigilanza’ e il potere in termini di legittime ritorsioni sul piano economico, diplomatico e politico, si comprende che un’organizzazione di stati così potente come l’Ue, non può essere ben vista da chi vorrebbe deliberatamente portare avanti le proprie manovre senza ritrovarsi il bastone sui piedi. Questione di egemonia e potere, dunque.
Non è il campo d’azione del governo Trump, che invece, sotto l’impulso di un singolare populismo, con lo slogan di ‘America, first’, mira ad un protezionismo esasperato, che fa scempio della politica di apertura portata avanti dai predecessori, punto di forza degli States. Solo una diagonale diversa rispetto alla Russia, ma non meno pericolosa.
E’ proprio con il fenomeno dei migranti che gli americani hanno costruito una federazione di ferro e uno status economico che ancora fa la differenza in termini di supremazia nel mondo. Quel muro davanti alla frontiera messicana, però, è il segno inequivocabile di un avvicendamento storico che ‘contrae’ il concetto di progresso, democrazia e sviluppo, intesi nell’accezione più pura di società umana tesa verso le innovazioni e i cambiamenti del futuro.
Protezione dell’America a tutti i costi, con misure d’intervento volte a condizionare il commercio internazionale, il libero transito delle persone..
Il modo più deleterio di tornare indietro nel tempo, di rifugiarsi dietro i propri confini, ignorando il fatto che il mondo gira al contrario, ossia che il fenomeno della globalizzazione non lo ha inventato nessuno in particolare, e nessuno in particolare è autorizzato a bloccarne le dinamiche. Remare contro, appunto.
E anche Trump vede l’Unione europea come un ostacolo, un macigno che potrebbe ostacolare le sue strategie di politica interna e soprattutto estera, sulla scia delle sanzioni comminate al governo di Mosca. E non stupisce di sicuro il suo sostegno aperto alla premier britannica Theresa May, e l’endorsement alla brexit. Egli è stato, non a caso insieme a Putin, un forte sostenitore dei ‘Leave’ durante la campagna referendaria. Insomma, questa Unione Europea è proprio il ‘terzo incomodo’ che ‘rompe le scatole’ a tutti, tiene gli occhi sempre aperti, e ha la presunzione di difendere il vecchio continente dalle pressioni che vengono da Est e da Ovest.
Inoltre ha mire ambiziose, promosse anche da Berlino: ossia intraprendere una strada di Unità, con una federazione politica di stati europei, in grado veramente di affrontare le insidie e le sfide che provengono da questo strano corso storico, nel nuovo millennio.
La globalizzazione, e l’autorità con cui si è imposta, non si può arrestare, così come arduo appare frenare la marcia dei populisti e la politica dei due blocchi: ora, per un bislacco disegno del destino, unito in un solo fronte politico (intesa-alleanza tra Putin e Trump, con quest’ultimo che mira a sganciarsi dalla Nato..).
Davanti agli scenari internazionali ai quali eravamo avvezzi, pur se insidiosi, e basti pensare alla nuova corsa agli armamenti alla quale si stava assistendo proprio in prossimità della frontiera europea con la Russia, ora tutto stride, esulta il disorientamento e l’instabilità. Nulla più negli accadimenti politici presenta certezze, ogni prospettiva è sospesa ad una nuova bussola, un nuovo ago della bilancia che sancisce lo spostamento dell’equilibrio del pianeta, secondo gli umori e gli esiti delle campagne elettorali. Sì, perché in fondo, a decidere il destino delle nazioni, e del mondo, sono stati sempre i popoli, e non si può prescindere dalla disciplina democratica che ne sancisce il potere.
E’ qui il vero contradditorio del nuovo millennio, e nessuno ha lo scettro per deviarne il corso.

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