L’ hotel Roma non c’è più: il terremoto l’ha distrutto

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Era una serata di festa all’ hotel Roma, il più noto albergo di Amatrice, 40 stanze, molte occupate. Ora l’albergo più gettonato della zona non c’è più, proprio come Amatrice. Metà hotel è implosa, l’altra metà si è inclinata a valle e le stanze sono volate giù, per decine di metri.

L’ultima notte dell’hotel Roma: “Qui non ci sono più feriti” MATTIA FELTRI*

Era serata di festa nell’albergo di Amatrice, 40 stanze, quasi tutte occupate dai turisti. La disperazione dei soccorritori: “Bimbi estratti dalle macerie, dove sono i genitori?”

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Le lancette dell’orologio della torre civica di Amatrice sono rimaste bloccate sull’istante del disastro (Reuters)
Le lancette dell’orologio della torre civica di Amatrice sono rimaste bloccate sull’istante del disastro (reuters)

Il silenzio è l’ultima cattiva notizia. «Non si sente più un’ambulanza né un grido. Non un solo rumore», dice una volontaria della Misericordia di Antrodoco, provincia di Rieti. È metà pomeriggio ad Amatrice e il primario dell’ospedale, Stefano Previtera, da qualche ora aspetta feriti che non arrivano più.

«Tutto finito a mezzogiorno. Davamo le prime cure e poi la gente veniva portata agli ospedali di Rieti, Roma, Ascoli. Ma adesso, purtroppo…». La volontaria telefona alla sorella, che è dall’altro lato del paese, sotto l’hotel Roma. «Dice che hanno tirato fuori dei feriti stamattina, poi basta. Lì è il disastro».

L’hotel Roma, il più gettonato del luogo, come Amatrice, non c’è più. L’altra notte ospitava un centinaio di turisti. Molti bambini, ma non si sa quanti. L’hotel poggiava su un terrapieno che per la scossa ha ceduto. Metà hotel è implosa, l’altra metà si è inclinata a valle e le stanze sono volate giù, come fossero di cartapesta, per decine di metri. «Non ne troveranno più uno vivo» dice al tramonto Marcello, che fa il costruttore edile nella zona. Ma forse è soltanto la disperazione. Forse l’orrore di questo panorama. Sta cercando i nipoti della fidanzata, due gemelli di sette anni, e non li trova. Nessuno qui sa chi ci fosse dentro l’albergo. La proprietaria vaga vicino al punto di raccolta nell’area Est del paese. «Il piano terra è rimasto quasi intatto, ma sopra non c’è più niente», dice. Abbraccia un’amica, deglutisce, e non risponde più alle domande.

I VIGILI DEL FUOCO  

Già da ieri sera i vigili del fuoco e la protezione civile hanno cominciato a entrare nelle macerie dell’albergo. Martedì sera c’era stata una delle tante sagre che il Roma ospita d’estate. Le cose che si fanno nei paesini dell’entroterra, si mangia e si beve e si canta fino a tardi e sabato era previsto il clou, la serata dello spaghetto all’amatriciana, della cui ricetta originaria, in tutta la sua sacralità, il ristorante dell’hotel è considerato il depositario. «Qui ad Amatrice vive sì e no un migliaio di persone, con le settanta frazioni si arriverà a tremila. Ma questa è la settimana di pieno, non è mai così per il resto dell’anno. Fra un settimana sarebbe stato terribile ma non così, così è insopportabile», dice Luca, tecnico radiologo nel piccolo ospedale di Amatrice. Dice che qui molti, soprattutto molti romani, hanno una seconda casa, dove magari vivono i genitori che d’estate tengono i nipotini in vacanza. I segni dei bambini sono ovunque, lungo il corso del paese spazzato via dalle scosse. Peluche di Peppa Pig, un pupazzetto dei Pokemon, un’automobilina Ferrari, pezzi di Lego, fumetti, scarpette, piccole felpe Gap, sussidiari scolastici, quaderni dei compiti. Anziane signore piangono con le mani rovinate. All’alba sono state sorprese dai soccorsi mentre scavavano. Giulio, 26 anni, subito dopo la scossa ha preso un camion – anche se non ha la patente specifica – ed è andato dal suocero a prendere attrezzi buoni a spostare pietre e sassi e lavandini venuti giù sulla strada insieme ai frigoriferi e agli armadi . «Ho tirato fuori due bambini, erano molto piccoli, avranno avuto un anno e mezzo o due. Un maschio e una femmina. Io sono di qui, conosco tutti, ma loro non so chi fossero. Sicuramente dei villeggianti. Stavano bene, dicevano qualche parola. Erano spaventati ma non piangevano. Sono stati bravissimi. Li ho portati in un punto di raccolta. Di loro non so più niente. Se abbiano perso i genitori, se qualcuno li stia cercando. Niente. Ho tirato fuori anche una ragazzina ma per lei non c’era niente da fare. Ho tirato fuori dei morti e non conoscevo il loro volto».

LO STRAZIO DEI PARENTI  

I parenti arrivano da fuori, intasano la strada che, bloccata per tutti gli altri a sette chilometri dal centro, conduce verso la fine di questo piccolo mondo. Antonio, di San Benedetto del Tronto, ci dà un passaggio: «Non ho notizie di mia madre ma grazie al cielo avevo portato via i miei figli proprio ieri. Hanno tredici e undici anni. Non riesco a pensare a che cosa poteva succedere, e poi adesso devo pensare a mamma». I pochi corpi recuperati giacciono in obitori di fortuna, in giardini con carriole rovesciate e ringhiere divelte. Sono avvolti in lenzuola da cui esce una mano, capelli intrisi di polvere. Gente in ciabatte, in pigiama, con borse di plastica colme di pochi vestiti, bottiglie d’acqua e confezioni di biscotti, aspetta per il riconoscimento. C’è il sangue, ci sono le lacrime, tutto lo spaventoso corredo di questi momenti. Ci sono case e palazzine quasi tutte collassate. Uomini e donne in fila, ognuno con una propria disperazione, che aspettano di essere chiamati per controllare il volto dei morti. Una ragazza che viene da Roma singhiozza: «Qui dentro i miei genitori non ci sono. Sì lo so, forse sono ancora vivi. Ma dove sono? Nessuno lo sa». Arriva un’altra scossa, la millesima. Non la ascolta più nessuno.

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* INVIATO AD AMATRICE (RIETI)

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