Caccia alla rete del killer jihadista in Lombardia

Prima di arrivare in Italia Anis Amri, il Killer jihadista autore della strage di Berlino,...

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Prima di arrivare in Italia Anis Amri, il Killer jihadista autore della strage di Berlino, è passato da Lione. A rivelarlo sono le analisi delle telecamere della stazione ferroviaria francese. Adesso gli inquirenti sono al lavoro per cercare di ricostruire la rete dei suoi contatti in Lombardia. Al vaglio ci sono biglietti, spostamenti e pagamenti. Quello che sembra certo è che non agiva come un “cane sciolto”.

Il terrorista di Berlino filmato a Lione. Caccia alla rete in Lombardia

Biglietti, spostamenti e pagamenti: Amri non agiva come un “cane sciolto”

Per avere qualche risposta sulla presenza di Amis Amri venerdì notte a Sesto San Giovanni, gli inquirenti italiani sperano nei risultati che potrà dare la sim card olandese ritrovata nel cellulare del terrorista tunisino accusato della strage di Berlino. Inattiva in Italia ma funzionante forse in Francia dove, prima di prendere il treno che lo avrebbe portato a Torino, Amri potrebbe essersi messo in contatto con qualcuno per cercare appoggi.

Se è vero che dal piazzale della stazione di Sesto, il terrorista all’alba sarebbe potuto ripartire con un pullman per arrivare in Spagna come nei Balcani o in Calabria, è vero anche che per passare nuove frontiere sarebbe stato più sicuro avere documenti contraffatti. Dunque non si può escludere che a Sesto cercasse di incontrare qualcuno che potesse aiutarlo anche solo ad imboscarsi per qualche giorno.

Lombardia radicalizzata  

L’arresto a Milano agli inizi di dicembre di un aspirante kamikaze, radicalizzatosi in Germania, il marocchino Nadir Benchorfi, e l’espulsione negli ultimi mesi di 5 estremisti islamici tra Lecco e Monza, tra cui il tunisino Belhadj Belgacem Ben Mohamed, imam di Camerlata, in provincia di Como, sospettato di aver reclutato combattenti jihadisti partiti per la Siria nell’ultimo anno, fanno della Brianza, di cui Sesto San Giovanni lambisce i confini, un luogo adatto per trovare appoggi senza che qualcuno faccia domande. Ed è in questi ambienti che l’Antiterrorismo sta scandagliando.

A Milano sono appena arrivate le immagini registrate dalle telecamere della stazione di Lione Part-Dieu dove il giovane aveva acquistato in contanti un biglietto per Milano con corrispondenza a Chambery (stazione in cui le poche telecamere invece non hanno fornito riprese del tunisino). Questi filmati, più quelli di Torino, quelli della stazione Centrale di Milano e gli altri acquisiti lungo il percorso fatto da Amri per arrivare nel grande piazzale della stazione di Sesto San Giovanni con un autobus sostitutivo della metropolitana, rappresentano un unico, lungo, documentario muto, dove Amri viene ripreso apparentemente sempre solo.

Nel complesso, Amri dimostra una capacità di scelta dei tempi, nonché dei mezzi di spostamento (i cambi alle stazioni, i treni regionali e poco controllati, le fattezze camuffate da cappellino e zainetto), come anche l’uso di contanti e mai di card, che testimoniano la preparazione di un terrorista addestrato a sufficienza. Non un semplice cane sciolto, magari con problemi psichici, attivato da chissà quale fanatico, com’era capitato per attentati analoghi. Piuttosto uno jihadista preparato ideologicamente, consapevole, pronto al peggio.

Le principali notizie giungono dalla Tunisia: si è scoperto che aveva convinto un nipote, fermato l’altro ieri e subito molto collaborativo, ad unirsi a lui in Germania nella cellula controllata da Abu Walaa, il predicatore dell’Isis arrestato in novembre in Bassa Sassonia. Gli aveva inviato documenti falsi e soldi per pagarsi il viaggio. I due comunicavano via Telegram.

Peraltro Amri, dopo aver registrato il filmato post strage nei pressi di Berlino, ha trovato il modo di inviarlo, probabilmente via Telegram, all’ufficio di propaganda dello Stato Islamico che lo ha diffuso il giorno dopo la sua morte.

Ma in Italia chi lo conosceva? Su chi poteva contare uno che aveva trascorso quattro anni in carcere? Poteva appoggiarsi ad altri «fratelli», magari a Sesto, oppure a semplici delinquenti comuni, che però all’ultimo momento gli hanno fatto mancare l’appoggio? A queste domande, investigatori e magistrati vogliono dare una risposta per non lasciare in libertà eventuali complici. Così l’attività investigativa si sta muovendo su vari fronti: i contatti rintracciati sulla sim card olandese e quelli trovati sullo smartphone abbandonato sul camion usato per la strage; la corrispondenza con la famiglia e con gli amici in Tunisia (gli inquirenti hanno chiesto alle autorità locali i documenti sul nipote), le frequentazioni sui social; infine le risposte che potrà dare la balistica sulla calibro 22 usata dal tunisino per sparare all’agente nel piazzale di Sesto. L’arma, acquistata probabilmente a Berlino, dovrebbe essere la stessa utilizzata per uccidere l’autista polacco Robertt Lukas Urban durante la strage. L’inchiesta coinvolge diversi Paesi europei: da ieri, sono arrivati in Italia degli investigatori tedeschi per collaborare con la nostra polizia e potrebbero portare altri elementi di novità.

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