I bambini del martirio: plagiati e armati dal Califfato

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In Siria e Iraq migliaia di bambini vengono addestrati dal Califfato all’uso di armi e cinture esplosive.  Il presidente turco Erdogan accusa lo Stato Islamico per l’attentato del baby kamikaze, un ragazzo tra i 12 e i 14 anni, che ha fatto strage a un matrimonio curdo a Gaziantep.

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In Siria e Iraq migliaia di bambini frequentano i corsi imposti dall’Isis. I pilastri dell’educazione sono Islam salafita e addestramento militare

Corano e cintura esplosiva. Nelle scuole del Califfato si prepara una generazione di terroristi e kamikaze, disposti a immolarsi già da bambini, persino a otto anni. È uno degli aspetti più inquietanti della costruzione dello Stato islamico in Siria e Iraq. Migliaia di piccoli frequentano i nuovi corsi imposti dall’Isis in tutto il territorio sotto il suo controllo. Che prevedono due pilastri: Islam nella versione salafita più estremista possibile, istruzione militare fin dalle prime classi.

Finita la scuola ci sono i campi di addestramento. I «leoncini» del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi apprendono a usare pistole e kalashnikov a dieci, dodici anni, vestono piccole tute mimetiche e proclamano che il loro più grande desiderio della vita è diventare «shahid», «martiri». Il lavaggio del cervello sistematico ha dato i suoi frutti. A febbraio scorso erano già stati catalogati 89 attacchi lanciati da kamikaze minorenni. Ma in totale potrebbero essere centinaia. E poi ci sono i bambini boia. Pubblicizzati con il massimo entusiasmo in video di propaganda dell’orrore. Il più piccolo aveva quattro anni.

IL NIPOTINO DI MERAH

Le gesta dei bambini terroristi vengono mostrati dall’Isis come prova della compattezza dello Stato islamico. Solo nel 2015 sono stati individuati 150 video con minori protagonisti. Uno dei più scioccanti, messo online l’11 marzo, ha come protagonista Ryan, un francese dodicenne, figlio del foreign fighter Sabri Essid e nipotino acquisito del terrorista di Tolosa Mohammed Merah, autore di una strage in una scuola ebraica nel 2012. Ryan, in mimetica, spara alla testa di una presunta spia del Mossad, in realtà un palestinese di 19 anni, Mohammed Ismail, che aveva cercato di raggiungere i ribelli siriani ed era stato sequestrato dall’Isis.

Ryan è stato poi riconosciuto dai suoi compagni di scuola di Tolosa. Gli inquirenti francesi hanno stabilito che era il figliastro di Sabri Essid, partito per la Siria nel 2014 con la moglie e 4 bambini. Padri e figli. Come tanti altri arrivati insieme nel Califfato, compreso l’australiano Khaled Sharrouf, che ha mostrato la prole alle prese con i suoi kalashnikov in una serie di selfie pubblicati sui social. Sharrouf, nato e cresciuto a Sidney, si era unito all’Isis nel 2013, portando con sé la moglie, Tara Nettleton, e i cinque figli.

Foreign fighters, consorti e figli compongono famigliole alla rovescia. Appaiono spesso sulla rivista mensile Dabiq e nei video, predicano e praticano la violenza all’unisono. In un altro filmato, del febbraio 2016, si vede Isa Dare, un bimbo di 4 anni, che fa esplodere un’auto con all’interno tre prigionieri. È il figlio dell’estremista Grazia Khadija Dare, del sobborgo di Lewisham a sud-est di Londra. Isa indossa una tuta militare e una fascia nera con il simbolo dell’Isis, urla Allah è il più grande e minaccia miscredenti e apostati.

Stesso copione per Abudullah, un kazako di 10 anni, protagonista di un altro video, del gennaio 2015, che mostra l’esecuzione di due presunte spie russe, probabilmente kazaki o caucasici. I due sono fatti inginocchiare e poi uccisi con una calibro nove dal bambino. Abdullah era già comparso in un video girato in un campo di addestramento e diffuso nel 2014, dove aveva rivelato il suo nome e detto di provenire dal Kazakhistan. Un esempio per le migliaia di «leoncini del Califfato» addestrati nei campi in Siria e Iraq.

I LEONCINI DEL CALIFFATO

Solo nel 2015 sono apparsi almeno una ventina di video con protagonisti i «leoncini». In genere l’ambiente è idilliaco, zone verdi vicino a Raqqa, lungo l’Eufrate, dove i piccoli studiano, pregano e sparano all’aperto, saltano ostacoli, recitano shure del Corano e imparano le arti marziali. E proclamano di sognare il martirio nella guerra contro gli infedeli.

Come in tutti i regimi dittatoriali l’ideologia estremista fa presa più facilmente sui bambini. E l’Isis sfrutta appieno la totale sottomissione della generazione più giovane. Emblematico è un video girato nella provincia di Aleppo nel febbraio 2016. Un ragazzino abbraccia i genitori. Poi indossa la cintura esplosiva. Si inginocchia verso il padre e gli bacia la mano prima di partire per la missione suicida. Il filmato faceva parte di una campagna di reclutamento.

La macchina dei kamikaze-bambini gira a pieno regine. In un rapporto pubblicato lo scorso febbraio, realizzato per conto dell’Accademia Militare di West Point, «The Islamic State is mobilizing children and youth at an increasing and unprecedented rate», erano confermati 89 attacchi suicidi compiuti da minori in Iraq e Siria dalla metà del 2014. Il 60% avevano fra i 12 e i 16 anni, la fascia di età del kamikaze di Gaziantep. Almeno undici erano tra gli 8 ed i 9 anni.

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