Roma teme i Paesi dell’Est contrari a un’intesa a Tallinn

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ROMA – L’allarme era arrivato per via diplomatica nel cuore della notte di lunedì: attenzione, Vienna vuole «sigillare» le frontiere. Alle prime luci del martedì, ieri mattina, Paolo Gentiloni e Marco Minniti hanno avuto la conferma: l’Austria si prepara «a difendere il confine del Brennero» con le forze armate. Al presidente del Consiglio e al ministro dell’Interno – che si sono immediatamente consultati – non è servito molto tempo per decrittare il senso del messaggio: da Vienna e dall’Europa orientale soffia un vento ostile che rischia di vanificare l’imminente vertice di Tallinn, chiamato (negli auspici dell’Italia) a segnare una prima svolta nella politica europea sull’immigrazione.

A caldo e nelle chiacchiere informali tra di loro Gentiloni e Minniti si sono ritrovati nel bollare come «inaccettabile» la mossa di Vienna. E hanno convenuto che nelle ore successive sarebbe stato il ministro dell’Interno ad uscire allo scoperto, cosa che Minniti ha fatto con una nota ufficiale, segnata da lessico molto tagliente, soprattutto quando giudica quella del governo austriaco come «una iniziativa ingiustificata e senza precedenti che se non immediatamente corretta comporterà inevitabili ripercussioni». Ma nel colloquio mattutino premier e ministro dell’Interno si sono interrogati anche su una questione decisiva: perché l’Austria si muove proprio ora, visto che al Brennero non sono segnalate emergenze? E ancora: in Austria si vota in autunno, ma quanta Berlino c’è nell’attivismo di Vienna?

Per tutta la giornata di ieri Gentiloni e Minniti hanno preparato la «battaglia di Tallinn», il vertice dei ministri dell’Interno dell’Ue in programma per domani: in queste ore i due stanno cercando di capire se e quanto l’Italia riuscirà a forzare l’inizio di assedio che si è manifestato ieri, per l’ effetto congiunto di almeno tre eventi: il rifiuto di Francia e Spagna ad aprire i propri porti per accogliere almeno una parte dei migranti che premono dal Nord Africa; l’annuncio di Vienna; il plateale disinteresse palesato dai parlamentari europei che ieri mattina si sono presentati in poche decine alla discussione sugli immigrati. Ogni volta che si affrontano vertici su questioni così delicate – si ragiona alla Farnesina – c’è un margine di «imprevedibilità» nel comportamento dei singoli Paesi che è destinato a riproporsi anche a Tallinn. Una imprevedibilità accresciuta – facevano notare fonti governative – anche dall’ennesimo venir meno di qualsiasi solidarietà verso l’Italia da parte di governi guidati da personalità che fanno riferimento al Pse, come Austria e Malta.

Ma dall’Europa non arrivano soltanto notizie negative. Paolo Gentiloni si è voluto complimentare con Jean-Claude Juncker per la clamorosa arringa da lui pronunciata all’Europarlamento. Ed ha apprezzato il documento della Commissione che va incontro a diverse sollecitazioni italiane. Certo, il governo si prepara ad una battaglia europea difficile, ma senza mai perdere di vista il fronte interno, che proprio ieri si è surriscaldato. Due settimane fa Gentiloni e Minniti avevano deciso di allentare la pressione sull’Italia, facendo leva sulla Francia di Macron. Il presidente del Consiglio, vestendo i panni del «poliziotto buono», si è fatto carico della tessitura diplomatica, il ministro dell’Interno si è occupato della trattativa. La minaccia di chiudere i porti italiani, oltre a consensi in partiti di opposizione, ha però alzato la soglia di aspettative che ora rischiano di produrre un effetto-boomerang. Come dimostra il riaccendersi del fuoco polemico di tutte le opposizioni. Ieri sera si è appreso che il Viminale ha chiesto un «incontro urgente» al direttore del Frontex per rivedere la missione Triton per i l soccorso nel Mediterraneo. In sostanza, il ministero dell’Interno punta – come già chiesto nei giorni scorsi dal ministro Minniti – a far sì che anche gli altri Paesi europei si facciano carico dei migranti salvati.

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