Di Maio corre da solo: la base insorge

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Luigi Di Maio è il candidato solitario del Movimento 5 Stelle, diretto a un’incoronazione nel voto online che lo porterà a correre come premier per il gruppo fondato da Beppe Grillo. I suoi sette sfidanti nelle primarie sono pressoché sconosciuti: tutti i big si sono sfilati dalla contesa per fargli posto. Ma la base del Movimento è irritata.

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ROMA – Non doveva finire così. Lo sconforto che si respira nelle stanze del M5S alla Camera e al Senato consegna l’impressione che qualcosa sia davvero andato storto, che il meccanismo si sia inceppato malamente. I dipendenti compulsano ossessivamente la rete e i social network per capire quale sia l’umore degli italiani di fronte a questo enorme pasticcio della votazione online. L’hashtag #gigginarie rimbalza impietoso da un profilo all’altro, il sarcasmo e gli sfottò annacquano ovunque qualsiasi parvenza di credibilità.

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La base del M5S è incredula, una grossa fetta dei parlamentari si lamenta nelle chat e per la prima volta il bersaglio diventa Davide Casaleggio. Qualcuno anche nello staff e nella fedele cerchia di Luigi Di Maio, leader già consacrato, storce il naso. È lui, il figlio del fondatore, l’erede della società di consulenza che decide le strategie del M5S e gestirà la votazione sulla piattaforma Rousseau, a essere considerato il principale responsabile di queste primarie sconnesse e surreali. Anche perché, appunto, sarebbe dovuta andare diversamente. Il 5 settembre era ancora in piedi l’ipotesi di votare secondo il metodo adottato nel 2013 per le candidature al Quirinale: primo turno aperto, secondo turno ristretto alla rosa dei più votati. Poi qualcosa è cambiato.

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Il terrore di altri attacchi hacker ha condizionato la decisione di Casaleggio jr e lo ha convinto a puntare sul metodo delle autocandidature. Di fatto una garanzia maggiore per Di Maio, perché ha tagliato di netto le ambizioni di tutti i suoi più forti competitor. Il risultato però è sotto gli occhi di tutti. Di Maio veleggia verso la vittoria senza un vero e proprio sfidante, ma contro sette comparse convinte a partecipare per evitare la farsa della gara in solitudine del futuro candidato.

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Tutti i protagonisti di questa storia un po’ sgangherata tacciono o quasi. Alessandro Di Battista si sfila e lo fa con un annuncio che crea un altro scompiglio. «Tra poco si inizierà a votare e invito alla massima partecipazione». Tra poco? Si scopre così che non è escluso che il voto, previsto con tanto di proclamazione per sabato a Rimini, nel secondo giorno di festa del M5S, possa essere anticipato. Aspettare ancora quattro giorni – è il timore di Casaleggio – significa dare il tempo agli hacker di fare quello che vogliono e alle voci più critiche, che si stanno alzando dalla pancia del M5S, di ingigantirsi. Roberto Fico, il grande atteso, lo sfidante che alla fine non è stato tale, continua ad opporre un insistito silenzio a Casaleggio jr, a Grillo e allo staff, che fino all’ultimo hanno sperato nella sua candidatura per scongiurare questo epilogo. Escluso dal palco di Rimini, Fico, secondo alcuni parlamentari a lui vicini, potrebbe anche non presentarsi alla kermesse. Sarebbe un gesto clamoroso, forse il preludio di un addio o di una nuova battaglia da combattere con l’armatura del dissidente. Un suo post, comunque, è atteso a ore.

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Mai come ora, però, il M5S si è chiuso a qualsiasi domanda di chiarimento, insensibile alle accuse di opacità. Ma così funziona ormai nella creatura di Grillo all’alba di un nuovo inizio con Di Maio candidato e capo politico. Una prospettiva che per i custodi dell’ortodossia o i semplici nostalgici delle origini è indigesta. L’unico a dirlo apertamente resta il deputato Luigi Gallo. Chiede ai candidati di rifiutare il ruolo di capo politico: «Auspico che prima della votazione si separino» le cariche. «È la cosa più sana, che tranquillizzerebbe tutta la comunità del M5S». Chiede insomma che capo politico resti Grillo, come garanzia di unione. Ma il comico, ormai leader riluttante, non vuole, e lo ha detto anche a Fico. Non vuole più caricarsi di responsabilità politiche, delle beghe interne, né vuole vagare per le aule di giustizia di ricorso in ricorso. «Se ne occuperà Di Maio». Ieri, intanto, è rimasto a Roma, all’Hotel Forum. Nessuno gli ha fatto visita fino a sera. Tutti i contatti sono stati telefonici. Grillo però non resiste al gesto teatrale e cala le lenzuola dalla finestra per simulare una fuga. E così, forse inconsapevolmente, svela il desiderio di non rimanere più prigioniero del suo Movimento.

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lastampa/Parlamentari contro Casaleggio. “È l’artefice di questo pasticcio” ILARIO LOMBARDO

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