La sfida per cambiare la legge elettorale. Fa capolino il ”Provincellum”

Parte la sfida per cambiare la legge elettorale. La proposta del relatore alla Camera, Andrea...

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Parte la sfida per cambiare la legge elettorale. La proposta del relatore alla Camera, Andrea Mazziotti, somiglia molto al congegno con cui si votava per le Province e per questo è già stata ribattezzata «Provincellum». Renzi, però, non è entusiasta e prepara il suo rientro: sarà lui a trattare con gli altri partiti.

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Renzi prepara il suo rientro e spiazza: sarà lui a trattare con gli altri partiti

ROMA – Come d’incanto, il nebbione della legge elettorale comincia a diradarsi. E dalla foschia emerge un sistema di cui si vedono i primi contorni. Somiglia molto al congegno con cui votavamo per le Province: tanti collegi con un solo candidato per partito, che venivano assegnati in rapporto ai voti presi da ciascuna forza politica. Questo «Provincellum» (così è stato ribattezzato) sarà quasi certamente la proposta del relatore alla Camera, che è il presidente della Commissione Affari costituzionali Andrea Mazziotti. Verrà lanciata a metà della prossima settimana e diversi partiti si sono già sbilanciati in tal senso, da Mdp alla Lega, da Forza Italia ai centristi (eccezion fatta per Alfano).

Mai più con D’Alema  

Ma la circostanza veramente nuova è che, subito dopo le primarie di domenica, Renzi romperà gli indugi e avanzerà finalmente una sua proposta. Quella di Mazziotti non lo entusiasma perché (spiega l’ex premier da Vespa) il «Provincellum è un sistema che fa finta di avere i collegi, ma poi non si sa se passa il tuo candidato o no, dunque giova a chi non ha un voto e spera di tornare in Parlamento grazie a un colpo di fortuna». Renzi preferirebbe invece un congegno di tipo maggioritario, con collegi piccoli, un premio e niente capilista bloccati. Un sistema che garantisca la governabilità dopo il voto e non lo esponga all’accusa di voler fare «inciuci», ad esempio con Berlusconi.

Le larghe intese forse saranno necessarie, ammette nel «Porta a porta», tuttavia sarebbe meglio evitarle. Gli unici con cui non vorrà mai avere a che fare sono i transfughi, incominciando da Massimo D’Alema: «Lui ha rotto il Pd e ha brindato il giorno del referendum: se ne parli coi militanti delle Feste dell’Unità, questi non li fanno entrare nemmeno nelle cucine». Altra cosa sarebbe un’alleanza con Pisapia, che Renzi non vede male e per la quale il suo competitor Orlando sarebbe pronto a chiedere un referendum tra gli iscritti .

La via più breve per le urne  

Una volta rieletto segretario Pd vedrà subito i gruppi parlamentari dem di Camera e Senato con cui mettere a punto la formula perfetta. Non la trasformerà tuttavia in un totem: anzi, con uno schema di gioco aperto ad altre soluzioni, tenterà di capire se in Parlamento ci sono numeri sufficienti per superare la paralisi. Secondo quanto risulta nella sua cerchia ristretta, Renzi potrebbe prendere l’iniziativa di discutere in prima persona con le delegazioni degli altri partiti. Né si esclude una riedizione aggiornata del summit in diretta streaming con i Cinquestelle, in modo che il chiarimento abbia luogo alla luce del sole.

Così potrà verificare fino a che punto i grillini insistono per ricopiare in Senato il sistema della Camera (il cosiddetto «Legalicum»): nel qual caso Renzi non chiuderebbe affatto la porta. Il suo obiettivo è di dare seguito all’appello lanciato mercoledì dal Presidente della Repubblica, per arrivare con una maggioranza già definita alle votazioni in aula, fissate dal 29 maggio in poi. Nei piani del segretario in pectore, il via libera della Camera sarebbe un eccellente viatico per superare di slancio anche l’ostacolo del Senato. A quel punto, la strada verso le urne sarebbe finalmente sgombra. Che poi Renzi ne voglia davvero approfittare, è tutta un’altra faccenda. Di sicuro, il calendario del prossimo mese è fitto di passaggi politici ad alto rischio, dalla vicenda Alitalia all’avvio delle trattative con l’Europa sulla manovra 2018. Un incidente è sempre dietro l’angolo.

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