Mentre l’Italia litiga per i tappi, l’Europa mostra i muscoli agli USA per le botti

Oggi sono esattamente 87 giorni dal fatidico 4 Marzo, giorno in cui l’ Italia ha...

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Oggi sono esattamente 87 giorni dal fatidico 4 Marzo, giorno in cui l’ Italia ha indossato il suo abito storico: quello dell’ingovernabilità; e non perché governarli è “inutile”, come disse Mussolini, nel 32, rispondendo alla domanda del giornalista tedesco Emilio Ludwig sulla governabilità degli italiani ma perché, probabilmente, aveva ragione Ludwig, è, di fatto, difficilissimo, fin quasi impossibile dato che siamo rimasti un popolo di individualisti (come ho più volte scritto) messi insieme a forza dal sabaudo necessitante delle ricchezze del Sud ed ancor prima, accomunatisi tra loro per inerzia e necessità, ma restando sempre, fondamentalmente e profondamente, fermi ai “comuni”, anzi, ai “quartieri”.

Ed infatti, la domanda di Ludwig che sembra avesse centrato il problema e ben tratteggiato gli italiani, fu: “Ma deve essere ben difficile governare gente cosi’ individualista ed anarchica come gli italiani!” e a questa Mussolini rispose: “Difficile?” Ma per nulla. E’ semplicemente inutile!“ ; questo almeno secondo quanto riportato nel testo: “Colloqui con Mussolini” di Emilio Ludwig – Milano – A. Mondadori – 1932. Altri, invece, attribuiscono la frase a Giolitti, altri ancora a Churchill, ma il punto, ora, non è stabilire chi l’abbia veramente detta ma il quanto essa esprime e che ben tratteggia la situazione che una volta sì, e l’altra pure, ci troviamo a dover fronteggiare sempre seguendo il Masaniello di turno dando così ragione a Winston Churchill che, sempre nel 32, ebbe a dire:

“Bizzarro popolo, gli italiani. Un giorno, 45 milioni di fascisti. Il giorno dopo, 45 milioni di antifascisti e di partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano, dai censimenti”.

Oggi che la guerra è lontana (e la sua memoria dimenticata e mal insegnata, peggio ancora studiata) non si tratta più di fascismo ed antifascismo, e nemmeno di destra e sinistra che a quel lessico seguirono, ma più semplicemente, dell’antico vezzo di sentirsi sempre, comunque e a prescindere: vincitori e dalla parte della ragione! Punto! Ed in questo, e per questo, siamo specialisti ed unici al mondo. Basti pensare che siamo capaci (sono stati capaci i “nostri” novelli Masaniello) di dichiararci soddisfatti e vittoriosi perché non abbiamo perso quanto temevamo di perdere per cui …. vittoriaaaaa, ed ora devono fare i conti con noi.

Ed ecco allora che torniamo a Ludwig e a Churchill: individualisti, sostanzialmente anarchici e, soprattutto, tutti prima di qua, poi tutti di la per cui, alla fine tutti hanno ragione e quindi, tutti torto.

E così il tempo passa. Gli anni scorrono, scorrono i decenni, i lustri ed i secoli ma sempre italioti restiamo ed intanto mentre l’Italia litiga per le poltrone, l’Europa va avanti e, a quanto sembra, va avanti benissimo e a passo spedito dando così anche il senso che, a procedere senza di noi, è marcia più lieve, quasi come se si fosse lasciata a terra una zavorra: L’Italia, appunto.
Quell’Italia dove il 4 Marzo nessuno ha veramente vinto ma tutti, dopo, si son sentiti e si sentono vincitori per cui: ecco che il centrodestra (ma cos’è, chi sono? Qualcuno l’ha veramente capito?), sentendosi vittima ed espropriata della SUA vittoria (ma de chè? Ma quando?) prova a scavalcare Di Maio (altro vincitori anche lui: ma de chè? Ma quando?) e va in pressing sul Quirinale per reclamare il dovuto incarico al leader della Lega Matteo Salvini (uno che ne con il centro e ne con la destra ha niente a che vedere salvo l’utilità in somma matematica). Colmo dei colmi, lo chiedono, a quanto sembra, appellandosi ad un passato esecutivo di minoranza stile Andreotti. Ma si può? E poi si lamentano di chi li manda al ben noto indirizzo a tutti loro non sconosciuto.

In tutto questo, non è che sull’altro fronte (ma cos’è, chi sono? Qualcuno l’ha veramente capito?), quello che per inciso dovrebbe e potrebbe collegarsi, guarda caso, ad Andreotti, non è che le cose e le idee siano più chiare e lineari. Ma proprio per niente! Per cui ritroviamo un rinato (in verità mai morto) Matteo Renzi (Rinaldo) che torna in campo e apre a una nuova legge elettorale alla francese con doppio turno (e pasticcini con caffè nell’intervallo) e, per realizzarla, si dice disponibile ad aprire ad un: «Governo a tempo per riscrivere le regole». Con chi? Ma con se stesso ed amici fidati, di sicuro non con Di Maio visto che: «Con il M5S un accordo è impossibile». E poi si lamentano di chi li manda al ben noto indirizzo a tutti loro non sconosciuto.

E questa è l’ormai trita e ritrita italica situazione mentre, come su abbiamo accennato, l’Europa va avanti e procede per la sua strada, ci snobba apertamente e si dichiara pronta, con il fronte comune sugli scambi commerciali stretto tra Londra (ma non è uscita? Boh) Parigi e Berlino, alla guerra commerciale con gli USA, e quant’altri necessitasse farla.

E questa è l’italica situazione che, se non fosse tragica, si potrebbe definire comica.
Una situazione tragicomica che vede l’Italia ferma a litigare: ho vinto io, no io; o a farsi i dispettucci delle fornerie riunite; o, ancora, a farsi finti complimenti tipo: va avanti tu, no tu (e qui ci scappa il famoso: perché a me vien da ridere), e l’Europa che se ne va con Gran Bretagna, Francia e Germania che parlano a nome suo per cui, come scrive Marco Zatterin nel suo editoriale su La Stampa:

«Il segnale che arriva nelle altre cancellerie è che possono andare tranquillamente avanti da sole, perché lungo la Penisola sono in tanti sulle pedane pubbliche a trascurare colpevolmente il futuro delle imprese e di un export che resta il cardiotonico più efficace dell’apparato industriale»

In tutto questo resta chiaro comunque che, in caso di vittoria di Londra, Parigi e Berlino, i nostri non avranno alcun ritegno a dire che ha vinto anche l’Italia; men che meno, se i tre perdessero la battaglia, a dire: solo loro che hanno perso; ed hanno perso proprio perché mancavamo noi, cioè loro, cioè l’Italia. Sic! E noi qui, intanto, sempre ad augurarci: io speriamo che me la cavo! E nulla più.

Stanislao Barretta

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