Per uscire dalla spirale negativa ci vuole innovazione, finanza pubblica e risparmio privato

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Come editoriale di oggi abbiamo scelto l’analisi sull’economia italiana, e della spirale negativa nella quale si troverebbe, fatta per la Stampa da Mario Deaglio e pubblicata oggi con il titolo:

Come uscire dalla spirale negativa MARIO DEAGLIO

Per l’economia italiana, questo Ferragosto non sarà certo una vacanza tranquilla sotto l’ombrellone. I mercati finanziari, gli osservatori internazionali e l’Unione Europea si aspettano infatti per l’Italia un autunno particolarmente difficile per l’effetto congiunto di due debolezze: quella di una ripresa produttiva che non si consolida e quella di una situazione politica che diviene più confusa nella prospettiva di un referendum istituzionale dall’esito incerto.

E’ probabile che queste valutazioni siano eccessivamente negative e che siano basate su atteggiamenti esteri non particolarmente benevoli; con questa situazione, però, bisogna in ogni caso fare i conti perché tali atteggiamenti influenzano in maniera crescente le prospettive dell’economia italiana. L’Italia, e in modo particolare il suo governo, è chiamata a dare risposte impegnative in un momento in cui è più usuale abbronzarsi sulle spiagge e ci si aspettava di tirare un sospiro di soddisfazione per risultati congiunturali comunque moderatamente positivi.

Le preoccupazioni internazionali partono dalla debolezza relativa dell’economia italiana.

Non si tratta tanto della crescita zero del prodotto lordo del secondo trimestre contro una crescita media della zona euro dello 0,3 per cento e una crescita tedesca dello 0,7 per cento (queste misurazioni sono sempre meno precise e un solo trimestre non fa testo) quanto dell’andamento complessivo degli ultimi diciotto mesi confrontato con quello degli altri grandi Paesi dell’Unione Europea. Appare chiaro che l’economia italiana, pur in ripresa, è meno dinamica di quanto ci si poteva ragionevolmente aspettare.

Il tutto viene valutato sullo sfondo di un’altra, questa volta sgradevole, crescita: quella, sia pure lenta, del debito pubblico: i dati resi noti ieri dalla Banca d’Italia hanno messo in luce un suo ulteriore, apparentemente inesorabile aumento in assenza di prospettive sufficientemente solide di una sua significativa riduzione futura.

A questo punto si può agevolmente immaginare che la parte maggiore del nuovo debito, e di quello che dovrà essere rinnovato, venga sottoscritta dal sistema bancario, da sempre tradizionale pilastro della finanza pubblica italiana. Purtroppo, però, una parte – fortunatamente minoritaria – delle banche ha a sua volta bisogno di interventi esterni, ispirati o indirettamente sostenuti dallo Stato. Il sistema così poggia su due pilastri che qualche incrinatura dimostrano di averla e che sono chiamati a sostenersi l’un l’altro.

Da questa situazione si può uscire con un sostegno finanziario europeo che vada al di là delle azioni, già messe in atto dalla Banca Centrale Europea che forse non ci verrebbe rifiutato ma che potrebbe dar luogo a una significativa perdita di sovranità. Proprio mentre è in atto un ampio dibattito nazionale su una riforma costituzionale incentrata su modifiche del processo di formazione delle norme e della volontà politica, si rischia un cambiamento sostanziale di alcuni rapporti economici di base tra finanza pubblica e risparmio privato sui quali il sistema finanziario italiano ha poggiato da sempre e che renderebbero sensibilmente meno efficace tale volontà.

mario.deaglio@libero.it

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