Scontro Renzi-Ue sul deficit

L’Europa gela Renzi e boccia la richiesta di un deficit al 2,9%. “I Paesi non...

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L’Europa gela Renzi e boccia la richiesta di un deficit al 2,9%. “I Paesi non decidono da soli, noi adesso parliamo con Gentiloni e Padoan” fanno sapere i vertici di Bruxelles. Ma il leader del Pd insiste: “Abbiamo colto nel segno, adesso in Italia non si parla più di alleanze”. E parlando ai possibili alleati dice: “Anche Bersani non può non essere d’accordo con me”.

L’Ue ignora le proposte di Renzi: “Parliamo con Gentiloni e Padoan”

Decifit, debito e Fiscal Compact: l’ex premier non ha alcun ruolo”. E il ministro dell’Economia resta cauto: “È un tema per il futuro”

BRUXELLES – Ci sono le risposte del presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem e del commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici, che pur essendo negative almeno entrano nel merito della questione (e offrono una sponda per nuovi attacchi: «L’Europa morirà di austerity» e «pensi ai migranti»). Ma lo schiaffo più forte che arriva da Bruxelles sulle guance di Matteo Renzi è quello partito dell’entourage di Jean-Claude Juncker.

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Si parlava della proposta lanciata dall’ex premier di tenere il deficit al 2,9% del Pil per cinque anni. A precisa domanda, il portavoce della Commissione Margaritis Schinas non si è limitato al classico «non commentiamo le dichiarazioni». Si è spinto un po’ oltre, replicando con un’insolita dose di veleno: «Juncker ha una relazione molto buona con Gentiloni e i nostri commissari hanno relazioni altrettanto buone con il ministro Padoan. La Commissione non commenta le dichiarazioni al di fuori di questa cerchia di persone in carica». Tradotto: Renzi non ha alcun ruolo e quindi non val la pena nemmeno discutere le sue proposte. Parafrasando la celebre frase di cui fu vittima Fassina, è parso di sentire un «Matteo chi?».

Anche Pier Carlo Padoan è sembrato prendere le distanze dalle proposte del segretario del Pd. Il ministro dell’Economia ieri era a Bruxelles per la riunione dell’Eurogruppo. Non si è dilungato sulla questione. Ma gli sono bastate nove parole, pronunciate prima di voltare le spalle ai cronisti e andarsene: «Mi sembra che siano temi per la prossima legislatura». Il messaggio di Padoan è chiaro: quello che Renzi vorrà fare – o promettere di fare – in futuro, è affar suo. E dal suo entourage smentiscono che l’uscita del segretario sia stata in qualche modo concordata con il Tesoro.

Il governo intende proseguire per la sua strada, fatta di dialogo e senza strappi con l’Ue. Una strategia che ha portato buoni risultati in tema di flessibilità sui conti pubblici, oltre che una soluzione positiva alla vicenda delle banche italiane. Ma non è tutto, perché Padoan continua a lavorare anche al futuro della governance dell’Eurozona: ieri sera ha ospitato nella sede della Rappresentanza italiana a Bruxelles i colleghi Wolfgang Schaeuble e Bruno Le Maire. L’Italia cerca di fare squadra con Germania e Francia per disegnare insieme il futuro dell’Unione economica e monetaria. Non c’è dunque l’intenzione di preparare un autunno caldo, sbattendo i pugni sul tavolo per una battaglia solitaria contro il Fiscal Compact. La questione della revisione delle regole probabilmente sarà delegata alla Commissione, che entro la fine dell’anno presenterà una proposta. Intanto le regole ci sono e ieri sono stati proprio due esponenti della famiglia socialista europea a ricordarlo a Renzi, chiudendo di fatto alle sue richieste. Pierre Moscovici ha sottolineato che «l’Italia non può lamentarsi delle sue relazioni con la Commissione, nella misura in cui è stato l’unico Paese che ha beneficiato di tutte le flessibilità che offre il Patto». Quindi «l’interesse è di continuare a ridurre il suo deficit per ridurre il debito pubblico». Altro che deficit al 2,9%.

Ma è alle parole di Dijsselbloem, socialista olandese con fama da falco, che Renzi ha risposto in modo più piccato, ricordando lo scivolone del presidente dell’Eurogruppo sugli europei del Sud che spendono i soldi in alcol e donne e accusandolo di avere «un pregiudizio» anti-italiano. La proposta di un deficit (nominale) al 2,9% per cinque anni «sarebbe fuori dalle regole» dice il ministro. «Non è una decisione che un Paese può prendere da solo». Dijsselbloem si è detto disposto a cambiare le regole: «Possiamo sempre farlo. Ma non si può dire “quelle regole non valgono per me per un anno o per i prossimi cinque anni”».

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