Molti sussidi, pochi servizi: il dramma dei poveri

In Italia la spesa assistenziale è in aumento ma il numero di poveri non diminuisce....

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In Italia la spesa assistenziale è in aumento ma il numero di poveri non diminuisce. Sono i numeri a descrivere l’inefficacia dei piani: per ogni milione di euro investito escono dall’indigenza solo 39 persone.

Molti sussidi, pochi servizi. I poveri non diminuiscono

La spesa assistenziale è in aumento, ma è meno efficace che all’estero. Per ogni milione investito escono dall’indigenza soltanto 39 persone

TORINO – «I poveri pagano per tutti. Non sappiamo proprio dove abbiano preso tutto questo denaro». Suona come una beffa, e in effetti lo è: in Italia i poveri sono pieni di soldi, ma non lo sanno. Su di loro ogni anno si riversano oltre 50 miliardi. Eppure restano poveri. Sempre di più.

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Non è vero che l’Italia si è dimenticata di chi è indietro. E non è vero che spende poco in sussidi, bonus, aiuti. Semmai, è il contrario: spende tanto, forse troppo, sicuramente male. Tra il 2004 e il 2014, per arginare la crisi, lo Stato ha aumentato la spesa assistenziale da 42,6 a 58,6 miliardi l’anno, pensioni escluse. Tutti i canali sono stati irrorati: assegni sociali, da 3,3 a 4,6 miliardi; sussidi, da 2,3 a 10,3 miliardi; servizi sociali, da 6,6 a 9,1 miliardi; assegni famigliari, da 5,4 a 6,3 miliardi. La spesa dei Comuni è passata da 182 a 249 milioni: più contributi economici per l’alloggio (da 64 a 76 milioni) e per l’integrazione del reddito (da 75 a 98 milioni). È servito a nulla.

Un esempio? La social card: 1,3 miliardi stanziati, ma solo un quarto è andato a persone in condizione di povertà assoluta. Il resto a redditi medi o medio-bassi.

Mentre si continuava a spendere 4,6 milioni di italiani sprofondavano nell’indigenza. Le povertà hanno continuato a crescere: affliggono il 9% di chi ha tra 18 e 34 anni (nel 2005 era il 3,1%) e il 7,8% di chi ha tra 33 e 64 anni (nel 2005 era il 2,7%); in generale la quota di popolazione considerata «assolutamente povera» è quasi triplicata, dal 2,9 al 7,6%. Un gruppo di ricercatori della Fondazione Zancan spiega le ragioni di questo cortocircuito in un volume, «Poveri e così non sia», pubblicato da «il Mulino». «Ogni milione in trasferimenti sociali fa uscire dal rischio povertà 39 persone contro le 62 della media europea», spiega Tiziano Vecchiato, il direttore del gruppo di ricerca. «Uno dei principali problemi è che il 90% degli stanziamenti sono trasferimenti monetari, anziché servizi». Un altro sono i criteri di erogazione, evidentemente sbagliati se solo il 9% di tutti trasferimenti va al 20% più povero della popolazione contro il 21,7% dei paesi Ocse.

La dimostrazione di quanto poco efficace sia la spesa si ricava dal confronto con il resto d’Europa. In Italia circa il 25% della popolazione è a rischio di sprofondare nella povertà; dopo l’intervento dello Stato la quota scende del 5%. La media europea è l’8,6%, solo quattro nazioni fanno peggio dell’Italia: Polonia, Lettonia, Grecia e Romania. Le altre oscillano tra l’8% della Spagna e il 12,5% della Gran Bretagna. Le condizioni di partenza sono simili: circa un europeo su quattro è sul crinale; la differenza è che dopo l’intervento dello Stato altrove la situazione cambia sensibilmente; da noi molto meno.

La nostra è una spesa improduttiva, assistenziale, spiegano i ricercatori. E ridondante: un cittadino può contare, in teoria, su 65 diverse forme di assistenza tra Comune, Regione, Stato e altri enti. C’è chi riesce a intercettarne più di una, e talvolta alla fine riceve più di quel che gli serve, e chi nessuna. Molte nascono e dopo poco vengono soppresse. L’efficacia non viene mai analizzata. Un esempio sono i 19 miliardi investiti in misure straordinarie negli ultimi anni: il reddito minimo di inserimento è durato due anni, il bonus straordinario per le famiglie uno solo. I fondi della nuova social card sono stati spesi solo in parte, e così i bonus bebè e famiglie numerose. I contributi per le bollette di luce e gas hanno raggiunto un terzo di chi ne aveva diritto. Provvedimenti con un tratto comune: «Il carattere prevalentemente non strutturale, perché di natura temporale se non addirittura sperimentale», annotano Maria Bezze e Devis Geron che li hanno analizzati.

Nell’ultimo decennio si è pensato di affrontare l’esplodere della crisi aprendo i rubinetti delle finanze pubbliche e inventando nuove soluzioni. «Ma l’aggiunta di una misura non è un piano di lotta contro la povertà», ragiona Vecchiato. «Non abbiamo una ma tante forme di aiuto per affrontare lo stesso problema. Non servono risorse aggiuntive ma una bonifica dei trasferimenti». Spendere meglio per non condannare milioni di italiani a essere poveri a vita.

vivicentro.it/economia
vivicentro/Molti sussidi, pochi servizi: il dramma dei poveri
lastampa/Molti sussidi, pochi servizi. I poveri non diminuiscono ANDREA ROSSI

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