La diffusione della povertà risale pian piano dal fondo

La diffusione della povertà risale pian piano dal fondo  ECONOMIA Un recente rapporto Istat mostra che la diffusione della...

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La diffusione della povertà risale pian piano dal fondo  ECONOMIA
Un recente rapporto Istat mostra che la diffusione della povertà ha raggiunto il suo apice a fine recessione, tra il 2015 e il 2016. È normale: la ripresa non fa salire subito lavoro e redditi. Ma qualcosa si muove: il reddito medio delle famiglie al netto dell’inflazione è cresciuto per la prima volta dal 2009. Al di là della crisi conta anche la globalizzazione. Che migliora sensibilmente le condizioni di vita nei paesi emergenti ma impoverisce la classe media e accresce le disuguaglianze. Mentre gli stati nazionali assistono impotenti.

E ora la povertà risale pian piano dal fondo

In Italia la diffusione della povertà e la disuguaglianza sociale sono ancora temi di grande attualità. Sebbene i livelli pre-crisi siano ancora lontani, il momento peggiore sembra sia passato. Finalmente, il paese ha preso, forse, la strada giusta. Basta avere pazienza.

Il report Istat

Lo scorso 6 dicembre l’Istat ha pubblicato il report su Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie nel 2016 . Sulla base dell’indagine EU-SILC, svolta su un campione di circa 20 mila famiglie, ogni anno questo report fa il punto sull’evoluzione dei redditi delle famiglie italiane. Vi si trovano molti dati di grande interesse. I principali media hanno dato una lettura negativa dei suoi principali risultati (per esempio, si veda qui e qui), sottolineando in particolare l’aumento sia della povertà che della disuguaglianza. Ma il quadro che esce dal rapporto non è del tutto negativo.

Nella tabella 1 sintetizziamo i principali indicatori presentati nel rapporto. Si nota che molti dati in realtà non sono relativi al 2016, ma ai due anni precedenti. L’indagine SIlc infatti non rileva caratteristiche individuali dell’anno in corso, ma i redditi dell’anno solare precedente. Anche l’indice di bassa intensità lavorativa è costruito sulla base dell’anno t-1. Il primo indice della tabella, la quota di persone a rischio di povertà o esclusione sociale, che è una sintesi dei tre indici che seguono, si riferisce in buona parte al 2015, non al 2016. E’ quindi un dato piuttosto vecchio, che risale soprattutto a due anni fa. Nel 2015 l’Italia era appena uscita dalla recessione, con un aumento del Pil solo dello 0,9 per cento. Ora che la ripresa sembra essersi consolidata, bisogna essere prudenti nell’usare questi dati per descrivere quello che sta accadendo alle condizioni di vita delle famiglie. Certo la situazione non è molto migliorata rispetto al 2015-16, ma sostenere che oggi stiano aumentando i poveri è azzardato, perché nessuna informazione è relativa alla situazione corrente.

Il rapporto Istat collega la crescita della disuguaglianza al forte incremento del reddito medio degli autonomi, che era crollato durante la crisi. I lavoratori indipendenti hanno redditi più sensibili al ciclo economico rispetto agli altri, e sono stati i primi a beneficiare della ripresa.

Primi segnali di svolta

Il dato del 30 per cento di persone a rischio di povertà o esclusione sociale cattura l’attenzione. Esistono ormai moltissimi indici sulla povertà (si veda l’appendice del report Istat per alcune definizioni), quindi, a seconda della misura che si usa, la percentuale di “poveri” può variare da meno del 10 per cento al 30 per cento. La povertà è un fenomeno complesso e come tale merita di essere studiata con molti indicatori, correndo però il rischio di creare confusione e di rendere difficile anche rispondere alla semplice domanda su quanti siano i poveri in Italia. L’indicatore migliore, ad oggi, è quello della povertà assoluta elaborato dall’Istat da circa un decennio. A differenza dell’indice di povertà relativa, cambiato poco nell’ultimo decennio, quello di povertà assoluta ci ha insegnato molto sugli effetti della crisi: la percentuale di persone in povertà assoluta è passata infatti da 3.6 per cento nel 2008 a 7.9 per cento nel 2016.

Nel complesso, i dati ci dicono che povertà e disagio economico dovrebbero aver raggiunto il punto peggiore proprio tra 2015 e 2016, al termine della crisi decennale. La ripresa economica non si traduce subito in aumento dei posti di lavoro e dei redditi delle famiglie, ma qualche segnale positivo c’è. Soprattutto se consideriamo che nello stesso 2015 il reddito medio delle famiglie è cresciuto per la prima volta dal 2009 in termini reali. Sarà interessante verificare se i vari indicatori di povertà sul 2017, quando saranno disponibili, inizieranno davvero a scendere.

Tabella 1  Indicatori di povertà e diseguaglianza dall’indagine Silc

Nota: i dati dell’ultima riga provengono da altri rapporti Istat. Nell’ultima colonna si precisa se la differenza tra gli indici è significativamente diversa da zero, tenendo conto della natura campionaria dei dati.

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