Trump all’ONU: «Se la Corea del Nord ci attacca non c’è altra scelta che distruggerla»

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Donald Trump mostra i muscoli nel suo primo discorso all’Onu e indica la sfida ai regimi autoritari, incluso l’Iran, come agenda comune di tutti gli Stati sovrani.

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L’American First irrompe alle Nazioni Unite: torni la sovranità degli Stati. Poi l’avviso all’Iran. Netanyahu: cambiare l’accordo nucleare per fermarli

Da una parte la «filosofia», cioè l’Onu delle nazioni sovrane che mettono i propri interessi davanti alle logiche multilaterali; dall’altra la sua applicazione pratica, che minaccia la «distruzione totale della Corea del Nord», pone gli Usa in rotta di collisione militare con l’Iran, prospetta un qualche intervento in Venezuela, congela il dialogo con Cuba e promette di annientare il terrorismo. Così Donald Trump ha declinato la sua visione del mondo, nel primo discorso tenuto ieri all’Assemblea generale, con cui ha tradotto in un linguaggio appena più formale gli slogan della campagna elettorale.

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L’intervento è stato scritto da Stephen Miller, ultimo sopravvissuto della corrente nazional-populista di Steve Bannon alla Casa Bianca, che lunedì sera lo aveva anticipato ai giornalisti spiegando come avrebbe ruotato intorno al concetto di sovranità. Alla fine però Trump ha quasi tradito questa impostazione, perché affermando il proprio diritto di mettere gli Usa al primo posto, «America First», ha coniugato la difesa degli interessi del suo popolo con una linea che è parsa quasi più interventista di quella adottata da George Bush all’epoca dei neocon. Una riedizione «dell’asse del male», senza l’Iraq ma con l’aggiunta del Venezuela, che però punta a proiettare nel mondo la potenza degli Usa, più che il modello democratico.

Trump ha detto che «ci troviamo in un tempo di immense promesse e grandi pericoli». Per realizzare le prime e scongiurare i secondi, «il nostro successo dipende da una coalizione di nazioni forti e indipendenti, che abbracciano la loro sovranità e promuovono sicurezza, prosperità e pace, per se stesse e il mondo». Basta dunque col multilateralismo che invade il campo degli Stati membri, come l’accordo di Parigi sul clima: «Nazioni forti e sovrane consentono a Paesi con valori, culture e sogni diversi non solo di coesistere, ma di lavorare fianco a fianco sulla base del reciproco rispetto. In America non vogliamo imporre il nostro modo di vita agli altri, ma lasciarlo brillare come un esempio per tutti». Ogni Paese poi ha il diritto di adottare questa visione: «Da presidente metterò sempre l’America al primo posto, così come voi dovreste fare con i vostri Paesi».

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L’Onu deve diventare il luogo dove queste nazioni sovrane si incontrano, lavorando insieme per scongiurare i pericoli. E Trump non ha avuto paura di elencarli. Il «rocket man» Kim Jong-un, avviato verso una «missione suicida» col programma nucleare: «Se saremo costretti a difenderci, distruggeremo totalmente la Corea del Nord». L’Iran, che «maschera una dittatura corrotta dietro la falsa pretesa della democrazia». Lunedì il direttore del Policy Planning al dipartimento di Stato, Brian Hook, ci ha spiegato che «il presidente vuole valutare Teheran non solo in base al rispetto dell’accordo nucleare, ma al comportamento complessivo, che ne fa il primo sponsor mondiale del terrorismo». Una linea che rende inevitabile la denuncia dell’intesa, la ripresa del riarmo atomico iraniano, e in prospettiva lo scontro militare con la Repubblica islamica. Il premier israeliano Netanyahu ha infatti definito il discorso di Trump come «il più coraggioso sentito negli ultimi trent’anni». La richiesta che il premier israeliano avanza è quella di rendere permanente l’accordo del 2015 sul nucleare iraniano che al contrario prevede una data di scadenza. Solo così, la tesi israeliana, Teheran può essere tenuta a bada.

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Il capo della Casa Bianca è tornato a citare «il terrorismo dell’islam radicale», per promettere di annientarlo, denunciando le migrazioni indiscriminate come minaccia alla stabilità globale. Poi ha aggiunto al suo «asse del male» la «dittatura socialista di Maduro», sottolineando che «il Venezuela è a un passo dal baratro non perché non ha applicato bene il socialismo, ma perché lo ha applicato. Siamo pronti a ulteriori azioni, se il governo persisterà nell’imporre l’autoritarismo». Quasi ignorata, invece, la Russia.

Trump non ha minacciato di radere al suolo il Palazzo di Vetro, perché lo considera ancora utile a realizzare la sua visione, se accetterà di riformarsi. Il problema ora è capire quanto consenso ha suscitato nell’aula, affinché l’auspicata comunità delle nazioni sovrane accetti di seguire la sua guida.

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