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Home » Il terrorismo torna a New York

Il terrorismo torna a New York

di Redazione
19 Settembre 2016
in Cronaca
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Investigatori tra la 23esima e la Sesta avenue, nel quartiere di Chelsea, a Manhattan, dove sabato sera è esplosa la bomba

Investigatori tra la 23esima e la Sesta avenue, nel quartiere di Chelsea, a Manhattan, dove sabato sera è esplosa la bomba

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Il terrorismo torna a New York con due bombe artigianali nel quartiere di Chelsea. Si tratta di pentole a pressione, con dentro dell’esplosivo. Una esplode sulla 23ª strada, l’altra viene disinnescata sulla 27ª. I feriti sono 29, non gravi. C’è un altro ordigno che esplode, in New Jersey, attivato anch’esso con l’uso di cellulari. Il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo parla di “terrorismo” ma non vi sono ancora conferme su una pista internazionale. L’Fbi ipotizza la matrice islamica, forse con l’obiettivo di colpire la comunità gay – molto presente a Chelsea – come avvenuto a Orlando. In Minnesota è un immigrato somalo che gridando “Allah hu-Akbar” accoltella otto persone dentro un grande magazzino di St. Cloud. E l’Isis rivendica: “È un nostro soldato”.

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Esplosione nella zona dei locali gay a Chelsea, 29 feriti. Su un altro ordigno vicino trovata una lettera in arabo. Sospetti legami con una deflagrazione in New Jersey

NEW YORK – Sono quasi le undici di sera di sabato, quando il cellulare squilla. Il rumore è quello fastidioso che viene usato per lanciare l’allarme, quando c’è un’emergenza: uragani, inondazioni, terremoti. Apro il messaggio, che viene dalla polizia, e leggo: «Abbiamo trovato un ordigno sospetto sulla 27esima strada. Non affacciatevi alle finestre».

Così la paura esce dai telegiornali e dai social media, per invadere le case di New York. Chiunque abbia messo quell’ordigno, e i sospetti svariano dai «lupi solitari» ispirati dal jihadismo, all’omosessuale risentito contro la società, o al terrorismo interno, voleva ricordare a Manhattan che resta il primo obiettivo di ogni terrorismo.

 Esplosione di una bomba a New York

 Sabato mattina, alle 9,30, c’è stata un’esplosione sulla costa del New Jersey, Seaside Park, dove era in programma una corsa di beneficenza per i marines. Pochi ci hanno dato peso, però. Così quando verso le otto e mezza della sera si sente un botto a Chelsea, il quartiere dove Sid Vicious dei Sex Pistols era stato accusato di aver pugnalato la fidanzata Nancy, adesso popolato da gallerie d’arte e ricchi a caccia di novità, molti pensano a un incidente. Magari l’esplosione di un tubo del gas. John Amidor, un avvocato che vive davanti al numero 133 West della 23esima strada, due blocchi dal negozio di Eataly, è al telefono con un amico a parlare di fantasy football: «Il botto è fortissimo e scuote le finestre. D’istinto corro giù dalle scale. Ho paura, ma l’attacco terroristico non è la prima cosa che mi viene in mente. Fuori ci sono molti cantieri per le costruzioni, immagino sia avvenuto un incidente». Appena in strada, però, John vede una scena strana: «Una signora anziana mi viene incontro sanguinando. Dice che lo scoppio ha fatto staccare il lampadario di casa, che le è caduto in testa. Intorno tutti scappano, alcuni tamponandosi le ferite. Sul punto dell’esplosione vedo un contenitore per i detriti delle costruzioni distrutto, e davanti c’è un suv nero con le portiere aperte: qualcuno lo ha usato per depositarci dentro una bomba?».

La domanda di John è la stessa che si sta ponendo la polizia. Una signora chiama il centralino delle emergenze 911 per avvertire che sulla 27esima strada, poco a Nord dell’esplosione, ha visto una strana pentola a pressione. A quel punto parte il messaggio di allarme verso tutti i cellulari di New York. Gli agenti arrivando di corsa, chiudono la via, fotografano e sequestrano la pentola. C’è un video che riprende chi l’ha lasciata.

Esplosione in strada a New York ripresa da telecamera di sicurezza

 In quei momenti di panico il sindaco De Blasio parla alla tv: «L’esplosione è stata un atto intenzionale, ma non ci sono prove di terrorismo internazionale». I feriti sono 29, uno grave. Li portano al Bellevue Hospital, dove Helen esce alle 4 del mattino: «È stato il più grande botto sentito in vita mia. Poi mi sono accorta che sanguinavo, non riuscivo più a vedere. Ho iniziato a urlare aiuto, accasciandomi sulla strada. Da terra mi ha raccolta l’ambulanza, e quando ho riaperto gli occhi ero in ospedale».

La notte finisce come quella dell’11 settembre, paura e insonnia. Anzi peggio, perché stavolta nessuno sa cosa sia successo, nessuno è stato arrestato, e magari fra qualche minuto la polizia ci avverte che ha trovato un’altra bomba. Nel frattempo in Minnesota, al Crossroads Center Mall di St. Cloud, un tizio con l’uniforme delle guardie di sicurezza ha accoltellato otto persone. Inneggiava ad Allah, chiedeva alle vittime se erano musulmane: un poliziotto fuori servizio lo ha ammazzato.

La mattina di domenica, alle 10, la 23esima strada è ancora bloccata, quando il governatore Andrew Cuomo viene ad aggiornare: «Se scoppia una bomba a New York, è chiaro che si tratta di terrorismo. Però non abbiamo la conferma del collegamento internazionale». Cuomo rivela che la bomba esplosa era simile a quella trovata sulla 27esima strada: sorvola, però, sul fatto che nella seconda c’era una lettera scritta in parte in arabo. Dice che l’ordigno del New Jersey era diverso, ma si sbaglia: i cellulari erano uguali e quindi c’è una possibile connessione. Invece i 29 feriti, per grazia di Dio, sono stati tutti dimessi: «Vista la dimensione dei danni, è un caso che non ci siano stati morti». Due ore dopo il sindaco De Blasio sembra smentire Cuomo: «Non sappiamo se è stato terrorismo, non possiamo escluderlo». Il sospetto è che si stia ripetendo il corto circuito di Bengasi, con i democratici che vogliono negare la pista del terrorismo internazionale, per non compromettere la corsa di Hillary Clinton alla Casa Bianca.

“Dopo la bomba urla e vetri ovunque”

 Nel frattempo Amaq, l’agenzia legata all’Isis, rivendica l’attacco in Minnesota: «Il responsabile era un soldato dello Stato islamico, che ha risposto alla chiamata di colpire i cittadini della coalizione dei crociati». La polizia lo identifica come Dahir Adan, studente americano di origini somale. Sui social media l’Isis celebra anche l’esplosione di New York. Il centralino delle emergenze 911 riceve una chiamata che annuncia altre esplosioni, mentre la polizia sta controllando un account di Tumblr intitolato «I’m the NY Bomber», che ha rivendicato l’attacco: «L’ho fatto perché non sopporto la società. Non posso vivere in un mondo dove gli omosessuali come me sono guardati dall’alto in basso».

Una fonte autorevole del mondo impegnato nelle indagini mi dice: «Non c’è una rivendicazione credibile o conferme forensiche, perciò si dice che non abbiamo prove di terrorismo internazionale. Un pazzo è sempre possibile, però il livello di sofisticatezza è un po’ troppo alto. L’estremismo domestico non ha mai preso di mira i civili così: anche ad Oklahoma City l’obiettivo era un edificio federale. Resta forte l’ipotesi del terrorista interno ispirato dall’estero, o dei terroristi, visto l’attacco anche nel New Jersey. Come alla maratona di Boston, dove sono state usate pentole bomba simili. Forse hanno sbagliato a costruire gli ordini, oppure volevano lanciare un segnale senza fare troppe vittime, perché altrimenti potevano metterli in luoghi diversi, non davanti a un edificio in costruzione. Da domani c’è l’Assemblea Generale dell’Onu, con tutti i capi di Stato qui. È preoccupante che nessuno sia stato arrestato, ma tra la bomba non esplosa, il cellulare, i video, abbiamo parecchie tracce. Chiunque sia stato, ha le ore contate».

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