Come sarà la nuova Protezione civile

Dopo aver annunciato “maggiori poteri” alla Protezione civile, il premier Paolo Gentiloni studia la riforma...

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Dopo aver annunciato “maggiori poteri” alla Protezione civile, il premier Paolo Gentiloni studia la riforma che sarà articolata in 3 punti: prevenzione, emergenza, ricostruzione. In particolare il premier vuole appalti più veloci senza gara e pensa a uno scudo per sollevare dalla responsabilità sindaci e dirigenti con il coinvolgimento di Raffaele Cantone e dell’Anac, l’Autorità Nazionale Anticorruzione.

Scudo di Cantone per i sindaci e appalti più veloci senza gara: così cambia la Protezione civile

Il piano di Gentiloni: deroghe per favorire la ricostruzione

PESCARA – Raccontano che Paolo Gentiloni, ieri mattina, presiedendo una riunione indetta in fretta e furia, sia apparso «determinatissimo» sulla futura Protezione civile. Sarà pure un premier dal sangue freddo, Gentiloni, ma si è reso conto che sul terremoto il governo si gioca la sopravvivenza. «L’intervento – riconosce il ministro della Giustizia, Andrea Orlando – è stato insufficiente. Non mi sento la coscienza a posto: bisogna fare di più».

A livello esecutivo s’annuncia dunque che in tempi strettissimi dovrà arrivare una risposta ai guai della «burocratizzazione» dell’emergenza. «Dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra tre questioni, tutte irrinunciabili: trasparenza, velocità, responsabilità». Già venerdì prossimo il Consiglio dei ministri dovrebbe affrontare il tema e lanciare qualche messaggio, anche se è troppo presto per un decreto.

Il caso delle casette di legno che arrivano a rilento nell’area terremotata e delle stalle prefabbricate che non sono arrivate proprio, è stato esaminato ieri a Palazzo Chigi. Ed è da qui che si partirà per disegnare la «nuova» Protezione civile. La riforma sarà articolata in tre capitoli: prevenzione, emergenza, ricostruzione. Sul primo punto, è ormai evidente che i tecnici danno tutti gli allarmi che servono, ma poi in troppi sul territorio fanno finta di nulla oppure le catene di comunicazione s’interrompono a metà, o non si predispongono i piani di prevenzione come vorrebbe la legge. Sull’emergenza, poco da dire: la Protezione civile funziona a meraviglia e c’è poco da cambiare. Sulla ricostruzione, invece, si appuntano le critiche maggiori. È qui che la riforma del 2012 mostra le maggiori criticità perché è stata disegnata una catena di comando farraginosa e troppo complessa. Come annunciava Gentiloni, occorre dare «maggiori poteri» a Curcio e Errani.

Un passo indietro. La riforma del 2012 ha stabilito che la ricostruzione non è più di competenza della Protezione civile nazionale, ma degli enti locali. Però la divisione risulta troppo rigida: i primi 180 giorni sono emergenza, poi la Protezione civile nazionale esce di scena e tocca ai poteri ordinari che devono governare la ricostruzione. Ma come metterla con uno sciame sismico che non finisce mai? Alla fine, succede che si sta procedendo con procedura ordinaria a fronte di eventi straordinari. E ammette uno che conosce la materia, come il senatore Franco Mirabelli, Pd: «Un errore, non c’è dubbio».

L’assurdo è che persino per comprare le stalle prefabbricate, con gli animali esposti alle intemperie, si è fatta una gara europea. Tutto per l’incubo della corruzione. Ci sarà presto una riunione con Raffaele Cantone, allora, perché bisognerà individuare in iter che sia trasparente, ma allo stesso tempo anche rapido. L’idea è di trovare un «ombrello» con l’Anac, che metta i dirigenti al riparo da un eccesso di responsabilità personale. Senza annullare le regole, però. «Cantone – ha detto ancora il ministro Orlando – ha spiegato che la questione dei tempi è legata a procedure che non possono essere bypassate, perché in passato si è scoperto che si è speculato sulla pelle della gente. E non è stata un’eccezione, è successo diverse volte nel nostro Paese».

I problemi, dunque, sono in evidenza. Ora si devono trovare le soluzioni. Paola De Micheli, sottosegretario all’Economia, da mesi ripete che «i soldi per il terremoto ci sono, quel che manca sono le procedure per spenderli». In teoria, i sindaci dei Comuni terremotati potrebbero procedere con affidamenti diretti «per somma urgenza». In pratica, non c’è nessun dirigente comunale che si prende la responsabilità di firmare un atto a rischio di indagine. «E così – dice ancora la De Micheli – le Regioni avranno pure fatto tutte le cose per bene, ma passare per la strada dei bandi e delle gare europee è troppo lunga».

E poi c’è l’assurdità di una legge che pretende dai Comuni una risposta all’emergenza quando sono loro, i municipi, i primi a essere in ginocchio. Dice Fabio Melilli, Pd, già presidente della provincia di Rieti e dell’Unione delle province italiane: «Ad Amatrice e poi a Norcia, il primo problema è la rigidità dei decreti di emergenza che non prevedono deroghe. Se a un Comune terremotato non si dà una deroga al blocco del turn over e non si permette l’assunzione di tecnici, come si può poi procedere a tutti gli adempimenti? È evidente che la procedura va a rilento. E la gente ha ragione a infuriarsi per il tempo che si perde». L’idea è che il Consiglio dei ministri, nel deliberare lo stato di emergenza, oltre agli stanziamenti, indichi già a quali norme si dovrà derogare.

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